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Quelle 766 tonnellate di cereali in pasto agli animali allevati che potrebbero sfamare 2 miliardi di persone

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Il cibo che potrebbe essere utile per sfamare un numero enorme di persone viene oggi trasformato in mangime e dato in pasto agli animali allevati negli allevamenti intensivi. Che diventeranno essi stessi cibo, ma a disposizione solo di un numero infinitamente inferiore di persone. Tradotto in numeri sono due miliardi gli esseri umani che potrebbero essere nutriti con cereali che vengono invece accaparrati dall’industria mangimistica al servizio della zootecnia industriale. Questi ammontano a 766 milioni di tonnellate e vengono ricavati da superfici coltivate che coprono circa 15 milioni di ettari di terreni arabili nell’Unione Europea e 7 milioni negli Stati Uniti, senza contare gli spazi che si libererebbero in aree del pianeta, come il Sud America, in cui alla filiera dell’allevamento intensivo si collega anche una sempre più massiccia opera di deforestazione: si disbosca per fare spazio alle monocolture che diventeranno mangimi. I dati emergono dal rapporto «Cibo non mangime: come mettere fine al più grande spreco alimentare», diffuso oggi da Compassion in world farming (Ciwf) in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione

Lo studio ragiona in termini di spreco alimentare, considerando il differenziale tra le calorie che i cereali in quanto tali potrebbero fornire alle persone e quelle che realmente vengono messe a disposizione in forma di carne. Anche qui la traduzione in numeri rende meglio l’idea: 100 calorie derivanti dai cereali sarebbero di fatto 100 calorie utili al nutrimento delle persone se fossero consumate direttamente. Utilizzate per l’alimentazione degli animali, si traducono invece in una quota che varia fra le 3 e le 25 calorie a seconda della specie allevata. In pratica, nella migliore delle ipotesi, il 75% del potere calorico alimentare dei cereali viene consumato nel processo produttivo, ovvero per nutrire gli animali e farli crescere fino alla giusta dimensione prima della macellazione. Chi potrà poi beneficiarne – una parte ridotta della popolazione mondiale, quella più ricca – godrà i benefici della piccola parte residuale. Mentre in gran parte del pianeta continuano ad esserci intere popolazioni che soffrono la fame e la malnutrizione.  Lo spreco di cereali così calcolato, le 766 milioni di tonnellate di cui si parlava sopra, è superiore allo spreco che si registra tra le famiglie (che buttano  631 milioni tonnellate di cereali in varia composizione non consumati), dalla ristorazione (290 milioni di tonnellate) e dalla vendita al dettaglio ((131 milioni di tonnellate)

Ciwf, organizzazione internazionale che ha fatto dello studio e delle campagne per una gestione etica degli animali degli allevamento e per una equa redistribuzione delle risorse alimentari, parla espressamente di «scandalo nascosto». Che in realtà è noto e pure molto evidente, ma che viene mascherato molto bene da una propaganda che vorrebbe un sempre maggiore consumo di carne, in nome di una maggiore diffusione del benessere, per continuare ad alimentare un sistema che va comunque a beneficio di pochi. Il documento evidenzia come, se la produzione continuerà secondo le attuali modalità e si adeguerà alle sempre maggiori richieste di carne che arrivano dai Paesi in via di sviluppo, dove l’aumento del benessere porta al legittimo desiderio di beneficiare degli stessi vantaggi fino ad oggi riservati perlopiù al mondo occidentale, entro il 2040 sarà necessario il doppio dei cereali oggi utilizzati per nutrire gli animali

Anche animali come i bovini, che sono ruminanti erbivori, che attraverso i mangimi a base di cereali si trovano a consumare una dieta che non è quella che avrebbero in natura. Ciwf porta già nel nome la propria scelta: compassione per gli animali allevati. Ma non esclude del tutto la zootecnia. Il rapporto evidenzia anzi come dovrebbero essere nutriti gli animali degli allevamenti, ovviamente allevamenti non di tipo industriale: pascoli e terreni erbosi, innanzitutto, immagine a cui lo stesso marketing dell’industria della carne è solita ricorrere nelle proprie campagne, anche se la maggior parte della produzione arriva ormai da allevamenti intensivi all’interno di capannoni chiusi; sottoprodotti dell’alimentazione umana, come i residui della produzione di birra, la polpa di agrumi, la farina di girasole; gli scarti alimentari inevitabili, come i prodotti da forno, la frutta e la verdura non consumati e opportunamente trattati per essere consumati dagli animali; i residui delle colture. 

Va da sé che questo sistema alternativo non reggerebbe gli attuali numeri, e tanto meno quelli prospettati per il prossimo futuro, ed è per questo che viene richiesto alle persone uno sforzo in termini di scelte alimentari. Che sono poi quelle che potrebbero dettare le regole del mercato, orientando la produzione, anziché subirla in base alle sole decisioni prese dalle grandi industrie e dai governi. L’abbandono della zootecnia industriale, quantifica il rapporto, porterebbe alla riduzione di circa il 50% della produzione e del consumo globali di prodotti alimentari. Sostanzialmente bisognerebbe dimezzare l’attuale consumo di carne e prodotti derivati da animali. «Sebbene una tale riduzione possa sembrare allarmante per alcune persone – si legge nel rapporto -, una diminuzione globale dei consumi di origine animale è essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici degli Accordi di Parigi e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu. E, al tempo stesso, se vogliamo nutrirci nel rispetto dei limiti del pianeta». 

Quelle 766 tonnellate di cereali in pasto agli animali allevati che potrebbero sfamare 2 miliardi di persone

L’allevamento intensivo si accompagna anche a problemi ambientali, dovuti all’inquinamento dei suoli per gli scarichi reflui; a quello dell’atmosfera per la produzione di gas serra dovuta sia alle funzioni biologiche di una massa enorme di animali allevati sia allo smog derivante dalle sostanze volatili delle deiezioni; e all’impatto del trasporto di mangimi da una parte all’altra del mondo. 

Il rapporto contiene infine un elenco di proposte per provare ad invertire la rotta. Si parte dalla riduzione dell’impiego di cereali e di soia come mangimi per animali, stabilendo che questi debbano essere indirizzati all’alimentazione umana, a cui dovrebbe essere data priorità per tutti i tipi di coltivazioni. Viene poi chiesto lo stop ai sostegni economici che alcuni governi concedono per le coltivazioni di cereali e soia anche se destinati all’alimentazione animale e non umana. Stesso discorso per i finanziamenti delle banche e delle istituzioni finanziarie. Ai governi si suggerisce un’azione di sensibilizzazione della popolazione su questi temi, affinché possa compiere scelte alimentari differenti, indirizzando così anche il mercato. Gli stessi enti pubblici, sostiene il report, potrebbero poi avere un ruolo indirizzando gli appalti per prodotti animali e derivati delle loro mense verso filiere che non utilizzino metodi industriali. E, in generale, andrebbe incoraggiato un cambiamento delle abitudini alimentari finalizzato ad una dieta molto più ricca di vegetali e meno di prodotti di origine animale. 

«È davvero scandaloso – commenta Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf Italia – che mentre centinaia di milioni di persone nel mondo soffrono la fame si continui a sprecare cibo perfettamente adatto al consumo umano per alimentare animali destinati a brevi vite di sofferenza negli allevamenti intensivi, dove sono privati di qualsiasi cosa renda la vita degna di essere vissuta. Ancora più scandaloso che questo sistema inefficiente e ingiusto sia sostenuto da finanziamenti pubblici attraverso sussidi».

16 ottobre 2025 ( modifica il 16 ottobre 2025 | 08:33)

16 ottobre 2025 ( modifica il 16 ottobre 2025 | 08:33)

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