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Quei 15 francobolli italiani realizzati in Cina: l’esemplare all’asta a partire da 25 mila euro

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Conclusa nel 1901 la ribellione dei Boxer contro l’ingerenza economica e politica delle potenze straniere, anche l’Italia decise di rimanere in Cina, usando per la corrispondenza francobolli italiani sui quali, dal 1917 vennero aggiunte in soprastampa le scritte «Pechino» o «Tientsin», e il nuovo valore. In quello stesso anno a Pechino entrò in servizio un piccolo ufficio postale, che serviva il «personale addetto alla Legazione e al Consolato nonché alla R. Guardia e agli equipaggi delle RR. Navi», che restò aperto fino a tutto il 1922. Della quarantina, compresi i segnatasse, di carte valori prodotte la più pregiata è l’ultima: il «2 DOLLARI Pechino», da non confondere con quello con la scritta «dollari» in minuscolo.

All’incanto

Quindici, tra nuovi e usati, gli esemplari noti realizzati evidentemente da qualcuno che già allora sapeva di generare una rarità, uno dei quali, passato per posta, è proposto nell’incanto Ferrario (www.ferrarioaste.com) del 25 e 26 giugno. Base d’asta a partire da 25 mila euro. Nell’incanto sono altresì presenti due esemplari con la scritta «dollari» in minuscolo e quotazioni rispettivamente di 4 mila e 3 mila euro. Tra i reperti dell’Italia preunitaria spicca la copia della Gazzetta di Parma di giovedì 9 giugno 1859, giorno in cui Maria Luisa di Borbone lasciò il ducato di Parma e Piacenza, ormai sotto il controllo delle forze favorevoli all’unificazione italiana. Le palette si alzeranno da 20 mila euro. Oltre trecento dei tremila e passa lotti sono riservati alle produzioni autocelebrativa che, nell’ambito della Repubblica Sociale, la Guardia Nazionale Repubblicana creò a Brescia nel dicembre 1943. Stime mediamente sotto i mille euro.

27 giugno 2025

27 giugno 2025

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