Il romanzo 1984 di Orwell non era un’opera di fantascienza e fantapolitica ma, bensì, un romanzo predittivo, che immaginava quello che ancora nessuno di noi poteva ipotizzare: l’avvento dei social. Se nel romanzo il «Grande Fratello» era manovrato dal dittatore dello stato di Oceania, che spiava i suoi sudditi con un complesso reticolo di telecamere, oggi ci sono molte centinaia di milioni di persone che vogliono entrare sempre più, non solo nella vita delle persone ma anche in quella degli animali selvatici. Aiutati dalla tecnologia, oramai disponibile a costi accessibili a tutti, e con effetti amplificati dai social siamo diventati una specie che vuole fotografare tutto quanto «instagrammabile», per smania di apparire o per soldi, anche se spesso le due cose si sovrappongono.
In questa continua corsa alla visibilità, della quale non si riescono a vedere i confini, le vittime non sono però solo i nostri conspecifici, uomini e donne che vengono indagati ovunque, anche quando si tratta di due amanti che pensano di potersi nascondere fra la folla di un concerto. Le vittime inconsapevoli sono anche gli animali selvatici, che certo poco capiscono di quei bipedi armati di smartphone e reflex che cercano di infrangere ogni distanza, senza rispetto e senza curarsi dei danni che questo costante tentativo di intrufolarsi nelle vite altrui possa provocare, ai selvatici ma anche a loro stessi. Recentemente per un selfie con l’orso un uomo è morto in Romania a causa della legittima reazione di un’orsa, che per difendere i suoi cuccioli, ha attaccato e ucciso l’invadente turista. Finendo anche lei uccisa, ma dai forestali, con i suoi cuccioli, molto piccoli, lasciati in balìa della natura.
Bisogna dire che anche i timidi erbivori, che molti sprovveduti ritengono innocui, sanno far danno e lo sa bene una turista romana finita al pronto soccorso per aver stalkerizzato una cerva, per una foto con il suo piccolo, nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm). Un elenco questo che potrebbe dilungarsi all’infinito perché tantissimi sono i casi di «scontro» fra umani e animali non umani, a causa della nostra naturale e imprudente invadenza. Per evitare i conflitti il Pnalm ha anche creato un piccolo vademecum per i visitatori, allo scopo di limitare disturbi e interferenze alla vita degli altri animali. Ma di fronte alla maleducazione di troppi non c’è indicazione, consiglio o raccomandazione che possa davvero servire. Unico vero deterrente sono le sanzioni, ma non si può mettere un guardiaparco o un forestale dietro ogni curva.
Non bisogna però credere che questi comportamenti siano messi in atto soltanto da torme di turisti «ignoranti» (nel senso che ignorano le regole di coesistenza e le distanze da tenere con i selvatici) che si avvicinano troppo alle vite degli altri abitanti del pianeta, sempre più confinati in spazi delimitati a causa delle nostre invasioni di campo. La ricerca della foto sensazionale è il pane quotidiano anche dei fotografi naturalisti, dilettanti o meno, che troppo spesso dimenticano regole che conoscono benissimo, solo per fare uno scatto che possa fargli pubblicità sui social, che possa essere gradito dal popolo di Instagram ma anche all’algoritmo, per scalare posizioni. Nulla accade per caso e tutti i social sono costruiti per farci vedere quello che ci piace ma, soprattutto, quello che piace a loro, che può far aumentare il traffico e dare valore agli inserzionisti. Questa è la ragione per cui, recentemente, un fotografo ha pubblicato le foto di una cucciolata di lupi, ripresa a distanza ravvicinata, in un post che si felicitava per le nuove vite nate nel Parco d’Abruzzo. Vite che potevano essere messe in serio pericolo sia dall’invadenza del fotografo, sia da chi, visto il post, avesse deciso che i lupi erano già troppi. Una sottovalutazione incolpevole? No, una pessima scelta consapevole, motivata da interessi economici: se sei una guida turistica o organizzi viaggi naturalistici quelle foto di cuccioli di lupo, che sui social schizzano in alto nelle pageview, servono da biglietto da visita, da medaglia da appuntarsi al petto sulla via del marketing.
Ma c’è anche di peggio perché ci sono fotografi che, al pari dei bracconieri, usano attrattivi olfattivi per richiamare gli animali: dai predatori alle prede, ogni specie ha un suo punto debole e poco importa che gli attrattivi alterino i comportamenti dei selvatici, li mettano in pericolo.
«Chi arriva ad uno scatto attraverso sotterfugi non etici e illegali come l’utilizzo di attrattivi ed esche non è un fotografo etico (e responsabile). Le conseguenze di “utilizzare esche” possono trasformare un fotografo in un bracconiere o in un complice dei bracconieri visto che un selvatico alimentato dall’uomo, spesso diventa “confidente”. Con tutti i rischi che possono derivare da ciò: maggiori possibilità di essere investito da un’auto, di essere ucciso da un bracconiere e di ingerire bocconi avvelenati ad esempio» afferma Paolo Rossi, fotografo naturalista premiato molte volte per i suoi documentari. «Vogliamo parlare dei fotografi irresponsabili che per inesperienza e arroganza si avvicinano troppo a dei nidi, disturbando i rapaci e facendo fallire le nidificazioni!? Molti di questi se mi stanno leggendo, forse non sanno neppure che il loro comportamento ha contribuito a fare fallire la nidificazione di un’aquila o di un gufo reale e a loro timidamente mi sento di dire: se avete dei dubbi in merito, fate come me, non avvicinatevi neppure ai nidi, piccoli o grandi che siano, così sarete sicuri di non essere colpevoli di queste azioni che sono più simili al comportamento di un bracconiere piuttosto che a quelle di un fotografo naturalista».

Se per arginare le malefatte dei turisti servirebbe maggiore educazione naturalistica, in un paese dove questo argomento non rientra a pieno titolo nei programmi scolastici e nelle pubblicità educative, diverso è il discorso per quanto riguarda i fotografi professionisti. Molti hanno comportamenti etici, ma troppi usano la fotografia come trampolino di lancio per attività collaterali, anche grazie alla tecnologia che mette a disposizione di tutti strumenti ambivalenti, utili o dannosi a seconda dell’utilizzo, come droni e fototrappole. Droni che sono una grande fonte di disturbo per i selvatici, tanto da far adottare da Enac (l’Ente nazionale per l’aviazione civile) protocolli che attuano delle “no fly zone” nelle aree protette, in ossequio alla normativa sulle aree protette, per impedire che un uso sconsiderato di questi oggetti volanti, che possono terrorizzare gli animali anche solo proiettando l’ombra al suolo, crei disagi alla fauna:
«𝐿𝑎 𝐿𝑒𝑔𝑔𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑑𝑟𝑜 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑟𝑒𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑡𝑡𝑒” 𝑎𝑙𝑙’𝑎𝑟𝑡. 11 ℎ) 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑠𝑐𝑒 𝑐ℎ𝑒 “𝑒̀ 𝑣𝑖𝑒𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑠𝑜𝑟𝑣𝑜𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑙𝑖𝑣𝑜𝑙𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑢𝑡𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑖, 𝑠𝑎𝑙𝑣𝑜 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑙𝑒𝑔𝑔𝑖 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑖𝑝𝑙𝑖𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑣𝑜𝑙𝑜”. 𝐴𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑢𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑟𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑜, 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑖𝑏𝑖𝑡𝑒 𝑎𝑙 𝑠𝑜𝑟𝑣𝑜𝑙𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑟𝑒𝑒 𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑖 𝑃𝑎𝑟𝑐ℎ𝑖 𝑖𝑙 𝑐𝑢𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑒𝑡𝑜 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑝𝑝𝑟𝑜𝑣𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝐸𝑁𝐴𝐶 𝑒𝑑 𝑒̀ 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑑𝑖 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑝𝑢𝑏𝑏𝑙𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑠𝑢𝑙𝑙’𝐴𝐼𝑃 𝐼𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎 𝐸𝑁𝑅 5.6.1-1 “𝑃𝑎𝑟𝑐ℎ𝑖 𝑛𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎𝑙𝑖 𝑒 𝑧𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑓𝑎𝑢𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎”.
Angelina Iannarelli è una fotografa naturalistica amatoriale molto apprezzata sui social per le sue foto realizzate nel Parco d’Abruzzo. Molto attenta a non creare disturbo agli animali che fotografa, preferisce le difficoltà rispetto alle scorciatoie utilizzate da molti, perché la fotografia naturalistica deve essere passione, conoscenza degli animali e deve prevedere l’uso di molta pazienza. «La fotografia naturalistica, con l’avvento dei social, ha perso molto della sua autenticità e in parte anche del valore artistico» dice con un po’ di amarezza Angelina. «L’abbondanza di foto di natura impedisce agni utenti di apprezzare le foto che documentano la natura senza trucchi, essendo sempre alla ricerca di immagini sbalorditive. I social, purtroppo, generano comportamenti emulativi e così molte persone cercano di rivivere la scena vista, replicando comportamenti sbagliati che poi a loro volta pubblicano, creando una catena di cattive pratiche».

A mettere definitivamente la parola fine al discorso è Luciano Sammarone, direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise: «La continua ricerca di contatto e non, si badi bene, di semplice osservazione degli animali selvatici, che viene messa in atto da molti appassionati o dai professionisti di varie attività legate all’outdoor, è diventata una costante forma di disturbo che con molta fatica cerchiamo ogni giorno di limitare. Il tentativo di avvicinare gli animali selvatici incide direttamente sulla loro vita, dall’alimentazione al riposo, e questi fattori antropici, scarsamente considerati, costituiscono una forma di disturbo che, anche nelle forme meno invasive, potremmo paragonare, da umani, alla stregua di una “telefonata” mentre stiamo mangiando o, peggio, dormendo. Per provare a limitare la pressione sulla fauna il Parco ha adottato norme che mirano a ridurre l’impatto, vietando di abbandonare i sentieri e di compiere escursioni notturne mentre, per la tutela dell’orso marsicano e del camoscio, abbiamo fissato particolari limitazioni all’accesso in determinate zone, stabilendo ingressi a numero chiuso. Nelle situazioni più delicate abbiamo disposto chiusure temporanee di alcuni sentieri, vietando in toto ogni forma di passaggio. I turisti, ma anche gli operatori, devono comprendere che la tutela degli animali viene prima di ogni altra considerazione».
31 luglio 2025
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