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Putin e l’arresto bloccato, lo «strappo» dell’Italia che ignora l’ordine dell’Aia

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Tra i motivi che hanno spinto Vladimir Putin a disertare i funerali di Papa Francesco in piazza San Pietro a Roma ci sarebbe anche il timore di essere arrestato per via del mandato di cattura emesso a suo carico dalla Corte penale internazionale nel marzo 2023. 

Ma in realtà il presidente russo rischierebbe poco o nulla, perché il ministro della Giustizia italiano non ha mai dato seguito al provvedimento datato 17 marzo 2023. Da allora l’ordine dei giudici dell’Aia è fermo negli uffici di via Arenula, il Guardasigilli Carlo Nordio non lo ha trasmesso alla Procura generale di Roma affinché lo inoltrasse alla Corte d’appello per renderlo esecutivo. Trasformandolo in un pezzo di carta senza alcun effetto.

Il nome del presidente russo (come quello di altri cinque tra politici e militari di Mosca messi sotto accusa dalla Cpi) è nella lista dei ricercati internazionali, ma se un ufficiale di polizia giudiziaria se lo trovasse davanti e lo fermasse, compierebbe un atto giudicato «irrituale» e di fatto nullo; proprio come è successo con il generale libico Osama Najeem Almasri, fermato all’alba del 19 gennaio scorso e scarcerato due giorni dopo.

In quel caso tutto accadde e fu deciso nel giro di poche convulse ore, il ministro si trovò davanti al fatto compiuto e interpellato dai magistrati sul da farsi non rispose, lasciando che il libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità venisse riportato in patria con un volo di Stato; per questo motivo Nordio è ora sotto inchiesta davanti al tribunale dei ministri (insieme alla premier Giorgia Meloni, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano). Il fascicolo su Putin, invece, è bloccato nei suoi uffici da oltre due anni, senza che si sia innescata la procedura per rendere valido l’ordine della Corte dell’Aia.

Evidentemente si tratta di una scelta politica, come quella che rende analogamente inefficace il mandato di arresto contro il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu, accusato per i crimini di guerra commessi a Gaza. Su di lui il governo italiano ha lasciato intendere in maniera esplicita di considerare i capi di Stato e di governo tutelati da un’immunità che li preserva da azioni giudiziarie almeno finché sono in carica, e lo stesso ragionamento potrebbe valere con Putin. Tuttavia è una valutazione contestata dai giudici della Cpi, che non la ritengono applicabile per i crimini di guerra o contro l’umanità, così come per il genocidio.

In ogni caso l’immunità non riguarderebbe gli altri russi accusati dalla Cpi: la commissaria per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova, «inseguita» dallo stesso provvedimento emesso contro Putin; il tenente generale Sergei Ivanovich Kobylash, già comandante dell’aviazione delle Forze aeree, e l’ammiraglio della Marina Viktor Sokolov, per i quali il mandato d’arresto risale al marzo 2024; l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e il viceministro della Difesa nonché capo di stato maggiore delle forze armate Valery Gerasimov, ufficialmente «ricercati» da giugno 2024. Anche i provvedimenti a loro carico sono fermi al ministero, e dunque ineseguibili secondo l’interpretazione fatta propria dalla Corte d’appello di Roma nella vicenda Almasri.

I giudici della capitale hanno infatti sostenuto che per eseguire un mandato della Cpi è necessaria «una prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra il ministro della Giustizia e la Procura generale». Per il generale libico non ci fu, e quando fu tentata il Guardasigilli rimase muto, producendo un esito per il quale la Corte dell’Aia è ancora in attesa di spiegazioni ufficiali che l’Italia non ha fornito ottenendo due proroghe; per il presidente russo non è mai stata avviata, nonostante il lungo tempo trascorso, e questo potrebbe ulteriormente deteriorare i rapporti tra Roma e giudici dell’Aia.

Putin è accusato, come Maria Lvova-Belova, di deportazione e detenzione illegale di bambini e adolescenti ucraini in Russia, reati equiparati a crimini di guerra dallo Statuto di Roma che ha istituito la Cpi; gli altri a causa degli attacchi missilistici effettuati sotto il loro comando contro le infrastrutture elettriche ucraine tra il 2022 e il 2023. L’articolo 2 della legge del 2012 che ha recepito lo Statuto di Roma (rivendicato da Nordio in Parlamento quando ha negato il suo ruolo di «passacarte» e giustificato il no all’arresto di Almasri) attribuisce al Guardasigilli il compito di «ricevere le richieste provenienti dalla Corte e darvi seguito», concordando la propria azione, «ove ritenga che ne ricorra la necessità», con altri ministri o organi dello Stato; dopodiché l’articolo 4 prevede che «il ministro della Giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Cpi trasmettendole al procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione», ed è ciò che Nordio non ha fatto. 

Nel caso di Almasri il tribunale dei ministri dirà — a breve, secondo i termini previsti dalla legge — se l’inerzia ad arresto avvenuto s’è tramutata nel reato di omissione d’atti d’ufficio; per Putin il problema non s’è posto, ma la volontà politica del ministro (e del governo) sembra abbastanza chiara.


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24 aprile 2025 ( modifica il 24 aprile 2025 | 07:11)

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