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Putin bombarda l’Ucraina, Trump: «Vladimir, stop!». Poi spinge il «suo» accordo di pace

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DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA – La Russia non ha l’aria di un Paese che si prepara alla pace. Non solo per via delle decorazioni, delle bandiere e degli striscioni con la scritta «Vittoria» appese in quasi ogni negozio della capitale e delle altre grandi città, sacrosanto viatico alle celebrazioni del prossimo 9 maggio, quando si festeggeranno in grande stile gli ottant’anni della vittoria della Grande Guerra Patriottica. Quanto piuttosto per le dichiarazioni intransigenti delle principali figure dell’Operazione militare speciale, che ben si sposano a un clima di profondo scetticismo dell’opinione pubblica sulla reale possibilità di un cessate il fuoco, parziale o totale che sia, per tacere delle bombe che continuano a cadere su Kiev.

Se le trattative per una eventuale fine delle ostilità impongono sempre cautela e una certa flessibilità nelle frasi pronunciate dalle persone coinvolte, oltre che nelle azioni, allora i segnali non sono buoni. «Stiamo monitorando con attenzione i preparativi militari dei Paesi europei» dice l’ex ministro della Difesa Sergey Shoigu, volto dei primi due anni di Operazione militare speciale, in una delle sue prime interviste dopo l’uscita dal governo, avvenuta nel maggio dello scorso anno. «Nel novembre del 2024 sono state apportate modifiche ai nostri Fondamenti nel campo della deterrenza, in base alle quali la Russia si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari in caso di aggressione, adottando le misure simmetriche e asimmetriche necessarie per impedire la ripetizione di tali azioni».

Era da qualche tempo, almeno dalla ripresa dei rapporti con gli Usa, che la retorica nucleare non veniva agitata a futura memoria dell’Occidente. Chi ci vuole leggere una prova della scarsa fiducia russa sull’esito del negoziato ucraino, ha qualche buona ragione per farlo. Alle quali si aggiungono anche le frasi del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov sulla Russia che vuole raggiungere tutti i suoi obiettivi iniziali «pacificamente o militarmente», e quelle dello stesso Vladimir Putin, che mercoledì sera, durante un vertice con la Commissione militare e industriale, ha dichiarato che la Russia dovrebbe ampliare la propria capacità di produzione bellica per prepararsi a future guerre. «So bene che le nostre armi non sono ancora sufficienti, non ce ne sono abbastanza, e dovremo essere ancora più ambiziosi» ha dichiarato.

L’Ucraina non era nominata, anche perché al momento c’è poco da dire. La Russia continua a bombardare, la scorsa notte anche su Kiev. «Non sono contento» ha scritto Donald Trump su Truth. «Gli attacchi non sono necessari e giungono in un pessimo momento. Vladimir, STOP! Muoiono 5000 soldati a settimana. Facciamo in modo che l’accordo di pace si concluda!». Nemmeno il tempo di postare il proprio buffetto, ben diverso nei toni dalla condanna proveniente dall’Unione Europea per gli «attacchi indiscriminati» dell’aviazione russa, che rivelerebbero come «Mosca parli ancora un linguaggio di violenza e terrore anziché di pace», e sui canali Telegram vicini al Cremlino è stato subito fatto notare con malizia come mai, nemmeno per una volta, il presidente ucraino sia stato chiamato per nome dal nuovo inquilino della Casa Bianca.

La natura leggera del rimbrotto trumpiano non è stata certo dissimulata dalle sue nuove esternazioni sull’esistenza di un termine temporale non meglio specificato oltre il quale «le cose andranno diversamente» e sul fatto che Putin si sarebbe offerto di «fermare la guerra e la conquista dell’intera Ucraina»

Trump ha poi aggiunto che durante la sua tappa a Roma per i funerali di Papa Francesco vorrebbe incontrare tutti gli altri leader mondiali: «Me ne vorrei prendere cura, molti di loro vorranno discutere di commercio». Secondo alcuni media americani, durante il colloquio con Putin che si terrà venerdì al Cremlino, l’inviato americano Steve Witkoff chiederà a Mosca la restituzione della centrale nucleare di Zaporizhzhya e di rinunciare alla demilitarizzazione dell’Ucraina, accettando il diritto di Kiev ad avere il proprio esercito e un’industria della difesa nell’ambito dell’accordo di pace.

È come se il disgelo tra Usa e Russia proseguisse senza mai toccare il tabu Ucraina. Non solo la terza visita di Witkoff, considerato una diretta emanazione di Trump, più un suo alter ego che un diplomatico accreditato, ma anche le dichiarazioni del capo dei Servizi segreti esteri Sergei Naryshkin che ha confermato di avere avuto colloqui telefonici «molto costruttivi» con il direttore della Cia John Ratcliffe, e che un incontro tra i due potrebbe essere imminente. L’appello bipartisan del presidente americano non sembra avere la forza per modificare l’attuale situazione di stallo, anche perché sembra rivolto più a Zelensky che a Putin, mentre il Cremlino ritiene di avere ancora molte carte da giocare sul campo di battaglia e almeno in apparenza non risente affatto delle pressioni provenienti dalla Casa Bianca. «Appare ormai certo che Trump si ritirerà dal negoziato sull’Ucraina» scrivono i principali quotidiani russi. «E sia per noi che per gli Usa, la colpa sarà soltanto dell’Ucraina e dell’Europa». Pare quasi un auspicio. A Mosca non è ancora arrivato il momento di far tacere le armi.

24 aprile 2025

24 aprile 2025

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