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Pordenonelegge si apre con le parole di Mattarella: «Leggere riguarda la libertà»

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«Leggere ha a che fare con la libertà». Apre con le parole di Sergio Mattarella l’edizione numero 26 di Pordenonelegge. Il messaggio del capo dello Stato, letto nella serata di mercoledì 17 settembre sul palco del Teatro Verdi da una dei giovanissimi «angeli» del festival, parla di libri e di Europa, e di come gli uni siano legati all’altra. Poco prima, nel teatro, le note dell’«europeo» Inno alla gioia seguite da quelle dell’Inno di Mameli, a inaugurare la «festa del libro e della libertà» che, fino a domenica, porta a Pordenone quasi settecento ospiti per 400 incontri. Una prova generale di dialogo e una promessa: traghettare Pordenone verso il 2027, quando sarà Capitale italiana della Cultura. Ieri sul palco i discorsi di rito — il primo a prendere la parola è Michelangelo Agrusti, presidente della Fondazione Pordenonelegge.it. Con lui, padroni di casa, la direttrice Michela Zin e i curatori Alberto Garlini, Valentina Gasparet e Gian Mario Villalta, che è anche direttore artistico. Poi parlano l’economia e la politica, con l’annuncio di una visita del ministro della Cultura Alessandro Giuli nei giorni del festival e qualche brivido in più a spezzare la serata quando il presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, evoca Charlie Kirk e la libertà di parola e incassa applausi e fischi.

Poi, il Teatro Verdi — pienissimo e blindato — si ferma e trattiene il respiro: sul palco sale Shirin Ebadi, l’attivista iraniana premio Nobel per la Pace nel 2003, prima donna musulmana a ricevere il riconoscimento. Avvocata, è stata la anche la prima giudice donna iraniana prima di perdere tutto, perseguitata da un regime, quello della Repubblica islamica, che le ha sequestrato beni, arrestato marito e sorella, trattenuto la figlia per convincerla a desistere e ad abbandonare la battaglia che la porta in giro per il mondo a denunciare i crimini della dittatura. Sul palco, intervistata dalla giornalista Elena Testi, Ebadi racconta di quando, nel 2009, la polizia di regime fa irruzione nello studio legale e negli uffici della Ong messa in piedi con i soldi del Nobel: trenta avvocati volontari che lavorano per difendere i prigionieri politici perseguitati dal regime. Gli agenti confiscano file e documenti, arrestano colleghi. Ebadi, all’estero, decide di non rientrare: sarà l’inizio di un esilio che ancora dura. Alla platea del Verdi, raccontandosi, dice di non arrendersi: «Le dittature si alimentano delle nostre paure, possiamo renderle più deboli». Come l’Iran che, dice, è una tigre di carta, che ha i giorni contati: «I giovani iraniani stanno lottando, la loro è una resistenza non armata e straordinaria, e sono convinta che metteranno fine a questo regime: non dimenticateli».

Siamo a un festival letterario e la letteratura si affaccia nel racconto quando Ebadi evoca la voglia di vivere, parlare, leggere dei giovani di Teheran, che era anche la sua da ragazza: «Mi piacevano i libri italiani — ricorda —, ero innamorata dei romanzi di Ignazio Silone». Poi la cronaca torna a prendersi lo spazio, con le notizie drammatiche che arrivano da Gaza: «Quello che sta accadendo lì è un genocidio», dice Ebadi, che invoca come unica soluzione quella dei «due popoli, due Stati»: «La guerra non può durare per sempre ma non finirà quando Gaza sarà distrutta, può finire solo se Israele riconoscerà la formazione di un governo e di uno Stato palestinesi». Chiama in causa l’Onu, «troppo debole per fermare Netanyahu come anche Putin»: il problema, argomenta, è strutturale e non verrà risolto «finché resterà il meccanismo del diritto di veto nelle votazioni del Consiglio di sicurezza».

Poi, Ebadi — che ha raccontato la sua lotta anche in un libro, Finché non saremo liberi, Bompiani — torna all’Iran, ai diritti negati, alle «tre impiccagioni al giorno». A tre anni esatti dalla morte di Masha Amini, dice, il movimento Donna, Vita e Libertà è ancora vivo. Il regime, invece, è debole: «La guerra dei 12 giorni, questa estate, con gli attacchi di Israele e Stati Uniti ai siti nucleari iraniani lo ha dimostrato: in 48 ore la difesa aerea era in tilt. Il regime opprime il popolo e non sa difenderlo».

17 settembre 2025 (modifica il 17 settembre 2025 | 22:05)

17 settembre 2025 (modifica il 17 settembre 2025 | 22:05)

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