
Piero Chiambretti smentisce Eraclito. «Lui sosteneva che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Io invece tornerò a farlo». La notizia è che «Fin che la barca va», ultimo programma del conduttore, sarà di nuovo in onda su Rai3, in autunno.
Come mai non è stato annunciato ai palinsesti Rai?
«Ci si stava lavorando, ci sono cose che si materializzano con i tempi della Rai, ma sono sempre stato convinto che ci sarebbe stata una nuova stagione. Rai 3 è la rete giusta: andremo in onda per 25 puntate, in access prime time, dalle 20.10 alle 20.35».
Una fascia non semplice, vero?
«Molto complicata ma molto interessante. Trovo sia sempre utile proporsi in maniera diversa. La soddisfazione è che questo programma, ideato da noi, realizzato internamente dalla Rai, sarà presentato al mercato internazionale dei format televisivi. Insomma, potrà essere venduto».
È tornato a occuparsi di attualità.
«Sì, con il mio piglio, il mio taglio, insomma con licenza di sorridere. Chopin diceva che chi non è capace di sorridere non va preso sul serio e lo penso anche io che pure sono seguace del pessimismo cosmico di Schopenhauer. Però lui dice la felicità era un concetto irraggiungibile, io penso si possa provare, anche se a piccole dosi».
Ora è felice?
«Molto. Quando un progetto si realizza è come quando il centravanti pagato per fare gol li fa. La tv, ogni anno, è una lotteria: in una tv ripetitiva, che vince perché ripetitiva, se non lo sei rischi di non essere apprezzato».
E quindi lei corre il rischio?
«Qualcuno questo sporco lavoro lo deve pur fare. E come ha detto Clint Eastwood nel giorno del suo 95esimo compleanno, cercherò di lavorare finché sarò veramente vecchio. In questa seconda o terza fase della mia carriera la sfida è provare tutte le volte sensazioni diverse, che passano da me e arrivano al pubblico. Le interviste che faccio sulla barca non sarebbero le stesse fatte in studio: c’è di mezzo l’imprevedibilità, il fiume si può ingrossare, lo scenario cambia. Di solito la tv evita tutti questi elementi di precarietà, io li cerco».
E si è mai sentito precario nel suo lavoro?
«Provo la precarietà dal primo giorno in cui sono entrato in tv. Questo è un lavoro dove il risultato, il voto, la critica fanno la differenza. Per molti anni ho potuto giocare la mia partita in un contesto — come fu la prima Rai 3 o Mediaset nei primi anni — con un sostegno da parte dell’azienda che valutava prima di tutto il talento e il prodotto, dopodiché gli ascolti. Ora, in generale, succede quasi sempre il contrario, quindi la precarietà viaggia su un filo. Non sono mai stato cancellato, ma ho rischiato».
Tornando a Eraclito, panta rei, tutto scorre.
«In questo caso anche panta Rai. La Rai è in continua evoluzione, così come gli eventi che raccontiamo e che arrivano nelle nostre case con la velocità del fulmine. Del resto anche la vita è fatta di continue modifiche: qualcuno vede il bicchiere mezzo pieno, altri nemmeno il bicchiere. L’intellgenza è la capacità di adattarsi al cambiamento, lo diceva Darwin. In generale più dell’intelligenza artificiale mi preoccupa la stupidità naturale».
Parlando di adattamento, mai pensato di condurre un quiz? Un game show?
«Ai tempi di Del Noce rifiutai di condurre i pacchi (“Affari tuoi”, ndr.) perché pensavo e continuo a pensare che il gioco fine a sé stesso non è nelle mie corde. Ho condotto in passato “Complimenti per la trasmissione” ma in quel caso il game era un pretesto: il senso era entrare nelle case degli italiani per raccontare chi fossero. Questo nel 1988, prima dei reality, del “Grande Fratello” e di tutti i programmi in cui la gente comune ha sostituito i professionisti, che ora sono a casa a guardare la gente comune che è protagonista in tv. Siamo andati ben oltre i 15 minuti di popolarità previsti da Warhol».
Si è mai pentito di aver detto no ad «Affari tuoi»?
«Nessun rimpianto anche se sarebbe stata una scelta di campo più comoda, in cui lavorare molto meno per portare a casa un risultato. Tutti i programmi che ho fatto, invece, sono stati un modo diverso di raccontare la realtà».
Per lo show è tornato a Roma.
«Ho lasciato Milano. Un grande scrittore che l’amava, come Gadda, diceva “Milano lavora, fatica, produce”… forse, visti gli ultimi eventi, anche troppo». A Milano registrava anche «Donne sull’orlo di una crisi di nervi». Anche questo show tornerà in onda? «È un programma a cui tengo molto e che credo abbia ancora un valore televisivo importante. Al momento non è previsto, ma il 2026 è tutto da giocare e spero possa tornare».
Sogna degli ospiti?
«Il mio sogno e desiderio ricorrente è avere sulla barca il presidente Mattarella, lui che in questi dieci anni di presidenza non ci ha fatto annegare. Inizierò a corteggiarlo come ho fatto con Cossiga. Si vedrà. Finché la barca va lasciamola andare, ma devi sempre remare: se non remi non ce la fai».
7 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
7 agosto 2025
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