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Piccolotti e gli altri: le vite «sotto stress» dei parlamentari in balia del riconteggio

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Che ansia, il caso di Elisabetta Piccolotti. Prima ti candidi e ti sbatti su e giù per l’Italia per fare la campagna elettorale. Poi arriva lo scrutinio, e hai voglia quanto tempo ci vuole prima che ti dicano se sei stato eletto. Nel frattempo stai lì, con l’acufene e con un grizzly che ti divora lo stomaco. E poi sì, ce l’hai fatta, parenti e amici, e anche quegli invidiosi del tuo partito, si complimentano e ti festeggiano.

Sorridi, ti rilassi, mangi e bevi qualcosa, perché fino ad allora non riuscivi ad ingerire nemmeno uno spillo. Ma c’è ancora qualcosa nel tuo inconscio che non ti permette di sentirti davvero libero. Perché c’è uno spettro che si aggira per lo Stivale, lo spettro della Giunta delle Elezioni, che non dorme mai e per oltre due anni controlla e ricontrolla se il conteggio dei voti è stato fatto come si deve, e fino all’ultimo stai lì, come Damocle. Che poi uno dice: ma come si fa a tenere un povero cristo sulle spine per tutto questo tempo?

A dire il vero stavolta il colpevole non è la burocrazia o un gusto sadico. È che la Giunta ha l’obbligo di verificare tutti i verbali delle sessantunomilacinquecento sezioni. Ed ora il percorso è quasi finito, perché il presidente della Commissione, Federico Fornaro, ha presentato la sua relazione.

Insomma, alla fine restano nella rete e nell’incertezza pochi casi. Quello di Vito Di Palma, inseguito dal ricorso di un altro pugliese di Forza Italia, Marcello Lanotte. E poi Francesco Michelotti, per un seggio in Toscana di Fratelli d’Italia, braccato dalla collega di partito Irene Gori. Unico caso concluso, quello di Andrea Gentile, di Forza Italia, che ha soffiato il posto alla Cinque Stelle Elisa Scutellà, che ha urlato in Aula: «È una truffa, fate schifo!». 

Ma è inutile girarci intorno, perché de minimis non curat praetor, e la sorte dei peones turba i sonni di pochi. Questa storia fa cassetta solo perché nel sacco c’è finita Elisabetta Piccolotti, esponente di spicco dell’Alleanza Verdi Sinistra, nonché moglie del segretario del partito Nicola Fratoianni, anche lui deputato alla Camera. Contro di lei non c’è stato nessun ricorso, solo un problema di addizioni. Ma intanto, come fai a dire qualcosa alla coppia vincente che, insieme ad Angelo Bonelli, ha portato l’Alleanza a veleggiare nei sondaggi sopra il sei per cento?

La cattiveria però alberga nell’animo umano, e questo fatto che sotto lo stesso tetto ci siano due stipendi da deputati fa storcere il naso a molti, che ora sghignazzano in segreto. E qui le accuse di misoginia si sprecano. Ma come? Elisabetta Piccolotti è una militante di vecchissima data, che non ha certo scoperto la politica sposandosi con Nicola, che senso avrebbe avuto chiederle di fare un passo indietro per ragioni matrimoniali? Parole sacrosante.

Ma, si spettegola, il machismo rispunta dove meno te lo aspetti. Perché si parla solo di lei? Non poteva essere suo marito a fare il passo indietro limitandosi a dirigere il partito? Arzigogoli da azzeccagarbugli, perché non sono né i soli né i primi a cumulare cariche in famiglia. Ma già questo testimonia di una velata antipatia che circonda la coppia, e non solo tra gli avversari che lo fanno per dovere d’ufficio. Un’altra prova? Lei e lui si comprano una Tesla. Lo fanno per scelta ecologica. Poi Musk si sposta a destra dei nazisti dell’Illinois e danno la colpa a loro. Elisabetta prova a dire che costava meno di altre auto elettriche e le mettono in bocca di aver detto che costava poco. Poi, manco a farlo apposta, la storia del seggio risuscita il ricordo doloroso di Aboubakar Soumahoro. Quello messo in lista come l’erede di Giuseppe Di Vittorio, per poi scoprire che il paragone era quantomeno esagerato. C’entra pure lui, perché, almeno in teoria, risulterebbe eletto in Puglia e non in Emilia-Romagna, dove invece subentrerebbe Eleonora Evi, lasciando a Giovanni Paglia il posto in Lombardia, mentre Piccolotti tornerebbe a casa.

Insomma, uno scioglilingua, peraltro non definitivo, le conclusioni della Giunta sono in attesa di approvazione e tutte le obiezioni sono consentite. Nel frattempo Avs non si straccia le vesti, tanto sono tutti dello stesso partito, pur sapendo che cosa voglia dire quando in una famiglia entra uno stipendio solo.


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26 giugno 2025

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