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Philippe Aghion, Nobel all’Economia: «Senza stop sulle pensioni la Francia sarebbe esplosa. No alla tassa sui patrimoni»

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI Premio Nobel dell’Economia 2025 (assieme a Joel Mokyr e Peter Howitt), il francese Philippe Aghion ha molti legami italiani: era ospite a Torino per il Festival internazionale dell’economia, intrattiene rapporti molto stretti con Mario Draghi, e «sono nato a Parigi ma concepito a Roma, fino a 18 anni ho avuto il passaporto italiano perché i miei genitori da Alessandria d’Egitto si rifugiarono in Italia». Consigliere di François Hollande poi di Emmanuel Macron, il 69enne Aghion ha seguito e influenzato gli sviluppi delle ultime ore nella politica francese.

Colpi di scena e manovre politiche hanno messo quasi in secondo piano il fatto che la crisi francese si fonda su problemi economici. Quanto sono gravi?
«Io penso che la situazione economica venga dipinta in modo troppo drammatico. I fondamentali sono buoni, la Francia è un Paese attraente per gli investimenti, ha ottimi scienziati, unicorni (cioè startup valutate almeno un miliardo di dollari, ndr) nell’intelligenza artificiale, andiamo bene nel lusso, nell’aeronautica, nel nucleare… Siamo un Paese dinamico. Il debito si è aggravato dopo il Covid ma non siamo la Grecia, il sistema fiscale funziona bene. Adesso però dobbiamo uscire dall’instabilità politica».

Per riuscirci, il premier Sébastien Lecornu ha stretto un accordo di fatto con il Partito socialista che oggi non voterà le mozioni di censura, salvando il governo salvo sorprese sempre possibili. Come valuta la scelta?
«È un buon compromesso, e il premier Lecornu a questo punto potrebbe tenere fino alle elezioni presidenziali del 2027, ne ha le capacità. Io spero che il Rassemblement national non arriverà al potere. Voi in Italia avete Giorgia Meloni e non è la stessa cosa».

Che cosa pensa della sospensione della riforma delle pensioni, che è la concessione principale fatta da Lecornu ai socialisti?
«Sono d’accordo, era necessaria perché altrimenti la situazione sarebbe esplosa. Subito dopo l’annuncio di Lecornu lo spread è calato, la Borsa è risalita. Sono sollevato, ho molto spinto perché si arrivasse a questo risultato e mi dicono che ho avuto una certa influenza».

La pensione a 62 anni, quando in Italia si lavora fino a 67, non è forse un lusso che i francesi non si possono più permettere?
«Bisognerà lanciare una nuova grande riforma delle pensioni tra qualche anno, con un sistema a punti, in modo che i lavoratori possano smettere quando vogliono, con prestazioni ovviamente correlate. In Francia c’è anche un problema di malessere al lavoro, una cattiva cultura della relazione gerarchica e anche la tendenza delle imprese a penalizzare i senior, questi aspetti vanno affrontati. Ma la questione centrale non sono i 62 anni, l’età reale in cui si va in pensione non è inferiore agli altri Paesi, solo che i francesi non vogliono andarci con il coltello sotto la gola».

Che cosa pensa della tassa Zucman, difesa a spada tratta dai socialisti?
«Sono contrario, e non credo che il governo cadrà se non la accoglie. Gabriel Zucman è un collega che stimo molto, ottimo economista e ragazzo adorabile. Io e lui abbiamo una divergenza su questa tassa, succede anche tra i migliori amici di avere un disaccordo su una questione precisa».

Che cosa non le piace?
«Penalizza l’innovazione, e l’esempio tipico è quello di Mistral, la nostra speranza nell’intelligenza artificiale, che oggi ha scarso cash flow ma è valorizzata a 12 miliardi. Se faccio scattare la tassa Zucman (2% sui patrimoni superiori a 100 milioni, ndr), il patron Arthur Mensch dovrà cercare finanziatori non per innovare ma per pagare l’imposta, e perderà la partita rispetto ai concorrenti stranieri. L’intelligenza artificiale lascerà la Francia e l’Europa».

Come si definisce da un punto di vita politico?
«Mi sento profondamente social-democratico, sono a favore della redistribuzione, dell’inclusione, del fatto che chiunque abbia una possibilità di riuscire indipendentemente dall’ambiente sociale di partenza. Ma per redistribuire bisogna produrre, e se tu fai la tassa Zucman riduci le dimensioni della torta».

C’è un Paese più vicino alla distruzione creatrice che lei ha studiato nelle ricerche che le sono valse il Nobel?
«A mio parere la Danimarca resta il modello da seguire. Distruzione creatrice vuole dire un’economia dinamica, nuove imprese che sostituiscono le vecchie, ma perché funzioni e sia socialmente accettabile ci vuole un sistema sociale che protegga e accompagni il processo, sono uno schumpeteriano sociale. In Danimarca, se perdi il lavoro, per due anni prendi il 90% del salario e lo Stato ti forma e ti aiuta a trovare un altro posto. Poi ci vuole un ottimo sistema educativo. Non si può fare una buona flexicurity senza una solida base educativa».

A Torino lei ha lanciato un appello all’Europa perché investa nella ricerca, per esempio nel nucleare, che in Italia non è più un tabù.
«Nel caso dell’Italia c’è la questione delle zone sismiche, ma per il resto il nucleare può essere un ambito di innovazione comune. Serve un’agenzia europea come la Darpa americana, che si occupi di energia, difesa, intelligenza artificiale, biotech puntando sulla competizione».

La transizione verde rischia di venire accantonata?
«Va rilanciata ma in modo diverso, finora ci siamo occupati troppo di carbon tax e troppo poco di politica industriale verde. Anche qui l’approccio giusto è pro competizione, come dice il rapporto Draghi. Dobbiamo creare l’equivalente europeo della Darpa, ma non ci riusciremo a 27, bisogna puntare a una coalizione dei volenterosi, di chi ci vuole stare: Italia, Francia, Germania, e anche il Regno Unito, assolutamente, gli inglesi non aspettano altro».

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16 ottobre 2025

16 ottobre 2025

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