«È un negoziatore più duro di me, non c’è partita», diceva a febbraio Donald Trump di Narendra Modi. Il premier indiano si sta in effetti rivelando uno degli avversari più ostici della Casa Bianca al tavolo delle trattative commerciali. Fermo nel centellinare le concessioni doganali agli Stat Uniti, deciso a proseguire gli acquisti di petrolio russo, sfidando le sanzioni americane, e pronto a rinsaldare i legami con Cina e Brasile per studiare una reazione comune dei Brics ai dazi della Casa Bianca.
Il surplus commerciale indiano
Nell’annunciare «dazi reciproci» del 27% sulle importazioni dall’India, ad aprile Trump aveva definito il Paese «tariff king», re delle tasse doganali. «È vero, è uno dei Paesi con le barriere alle merci straniere più elevate al mondo — nota Matteo Villa, senior research fellow di Ispi — il fronte indiano è forse uno dei pochi giustificati della guerra commerciale di Trump». Sinora, però, il presidente Usa ha ottenuto solo qualche limatura ai dazi indiani su prodotti come le moto Harley Davidson e il bourbon. Tagli insufficienti a riequilibrare la bilancia degli scambi fra i due Paesi che pende per 46 miliardi di dollari a favore delle merci provenienti dal subcontinente.
Le barriere al mercato agricolo
Soprattutto, Modi non pare disposto a concedere il bersaglio grosso a cui Trump mira: l’apertura del mercato agricolo e caseario dell’India, oggi protetto da un dazio medio del 39% che lo rende inaccessibile. Senza queste barriere, il Paese da quasi 1,5 miliardi di abitanti potrebbe diventare un eldorado per i prodotti americani; Modi non ha però alcuna intenzione di aumentare la concorrenza straniera per due settori che costituiscono le fondamenta della sua base elettorale. «L’India non metterà mai a rischio gli interessi dei suoi agricoltori», ha detto il premier indiano nella sua prima dichiarazione pubblica dopo che Trump ha alzato al 50% le tariffe al 50% sulle importazioni dei prodotti indiani. «So che pagherò un prezzo alto per questa scelta, ma sono pronto ad affrontarlo».
I rischi per l’export di Nuova Delhi
La resistenza di Modi ha suscitato la rabbia di Trump che prima ha annunciato dazi del 25% sulle importazioni indiane a partire dal 1° agosto. E poi ha alzato la posta, aumentando le tariffe al 50% come sanzione a Nuova Delhi per gli acquisti di petrolio e armamenti russi che stanno finanziando la guerra di Mosca in Ucraina. «L’aumento dei dazi rischia di ridurre del 30-40% l’export indiano negli Usa che nel 2024 si è attestato a circa 87 miliardi, il 18% del totale del Paese», calcola Villa. Secondo le stime dell’agenzia di rating locale Icra – riferite però a dazi al 25 – l’impatto sul pil indiano potrebbe toccare lo 0,2% per un’economia che non è certo «morta» — come l’ha definita venerdì Trump — e anzi resta la più dinamica al mondo (+6,4% nel 2025 secondo il Fondo Monetario).
Gli acquisti di petrolio russo
La crescita indiana sta però mostrando segnali di rallentamento che la rinuncia al petrolio russo potrebbe aggravare. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Nuova Delhi ha aumentato gli acquisti di greggio da Mosca che, perso il mercato europeo per le sanzioni, era alla ricerca di nuovi sbocchi e pronta a vendere a prezzi inferiori. La quota russa sul’import di petrolio dell’India è passata dal 3% 2021 al 35-40% del 2024, consentendo non solo al Paese di evitare la crisi energetica e di sostenere la crescita ma anche alla raffinerie indiane di lavorare il greggio di Mosca per poi rivenderlo in tutto il mondo con lauti margini. Un jolly a cui Modi non sembra disposto a rinunciare, anche a rischio di andare a vedere quali «carte» ha in mano Trump.
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7 agosto 2025 ( modifica il 7 agosto 2025 | 17:04)
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