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Perché lo scandalo corruzione è così pericoloso per Zelensky (e le sorti dell’Ucraina)

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Può un eroe della resistenza nazionale contro l’aggressore, essere al tempo stesso un personaggio compromesso con un mondo di corrotti? La storia umana è fatta di queste ambiguità, è piena di zone grigie, non è una favola morale dove ci sono santi da una parte e demoni dall’altra. Gli scandali per corruzione in Ucraina rischiano di dare ragione a JD Vance e a tutti coloro che nella destra trumpiana hanno sempre diffidato della tenuta delle istituzioni a Kiev. 

In Europa, possono rafforzare quei filoputiniani che vogliono bloccare l’adesione di Kiev all’Unione. Ecco perché lo scandalo Energoatom è così grave non solo all’interno del paese, ma anche nella sua proiezione internazionale. Costringe l’Ucraina a guardarsi dentro: cosa resta della rivoluzione del 2014? E della promessa europeista che giustifica ogni sacrificio della popolazione?
Non esiste vittoria militare che possa sostituire la necessità di una vittoria morale. L’Ucraina combatte per difendere il proprio territorio, ma anche un modello politico. Se vacilla la credibilità interna, vacilla anche la legittimità della sua causa agli occhi del mondo.

L’aspetto più grave dello scandalo non è il denaro sottratto — pure enorme — ma il settore coinvolto: l’energia. Il Paese che resiste da quasi tre anni alla strategia russa di “inverno permanente” ha scoperto che parte delle risorse destinate a proteggere centrali e sottostazioni venivano drenate per costruire ville di lusso. Un colpo non solo alla morale collettiva, ma alla sicurezza nazionale.
Riassumo qui alcuni dati essenziali della vicenda, attingendo alle analisi di tre esperti del think tank German Marshall Fund: Josh Rudolph, Olena Prokopenko, Valeriia Ivanova. La figura di Timur Mindich, socio storico di Zelensky, emerge come simbolo di un passato che l’Ucraina non riesce a superare: un intreccio fra business privati, amicizie personali e funzioni pubbliche, tipico dei sistemi post-sovietici. E il fatto che sia riuscito a fuggire grazie a una fuga di notizie interna rivela quanto le istituzioni siano ancora permeabili alle reti di potere informali.

Ma il nodo politico sta altrove: Andrii Yermak, il capo dell’Ufficio del presidente, l’uomo che oggi incarna il potere parallelo ucraino. Non è eletto, non risponde al Parlamento, eppure decide su diplomatici, nomine strategiche, politica estera e — secondo diverse testimonianze — influenza anche le forze dell’ordine. È l’equivalente moderno dei capi di gabinetto onnipotenti che abbiamo già visto in altre fasi della storia europea e americana. Ma in Ucraina, in guerra, questa concentrazione di potere diventa pericolosa (“tossica” è l’aggettivo usato ieri dal Cremlino).

Zelensky è in un frangente drammatico. Non può essere sfiduciato: la legge marziale impedisce elezioni e un ricambio istituzionale sarebbe un regalo a Putin. Ma non può neppure permettersi che l’Ufficio del presidente resti intatto: la sua popolarità è crollata, la fiducia occidentale si sta incrinando, e l’Ucraina rischia di perdere la condizione principale per essere considerata “una futura democrazia europea”: la trasparenza.

Gli alleati occidentali lo hanno capito. Le pressioni internazionali tentano di salvare la credibilità dell’Ucraina nel momento più delicato. Bruxelles chiede garanzie sulla governance; Washington vuole prove concrete di responsabilità; il G7 teme che senza riforme l’opinione pubblica occidentale possa stancarsi di sostenere Kiev.
L’Ucraina non può combattere la corruzione con gli strumenti del passato. Non basta un rimpasto, non bastano le dimissioni di un ministro. Serve la rottura con quel meccanismo di potere che ha trasformato l’Ufficio del presidente in una corte, anziché in una struttura amministrativa. La rimozione di Yermak sarebbe molto più di un gesto simbolico: sarebbe un’investitura morale, un segnale alla nazione e al mondo che la democrazia ucraina vale quanto la sua resistenza militare.

Le democrazie non cadono solo per sconfitta sul campo; cadono quando perdono la fiducia di chi le sostiene. L’Ucraina sta affrontando uno di quei momenti di verità che segnano un’epoca. Se saprà superarlo, avrà dimostrato non solo di saper resistere a Putin, ma anche a sé stessa, all’eredità ingombrante del proprio passato. Il mondo intero scoprì un inaspettato eroe nell’ “attore” Zelensky, quando lui rifiutò l’offerta scellerata di Joe Biden di un esilio che avrebbe regalato l’Ucraina a Putin. 

Nel momento dell’invasione il suo rifiuto di una scorta militare americana verso la Polonia passò alla storia: “Presidente Biden, non ho bisogno di un passaggio, ho bisogno di munizioni”. Quello fu il suo momento “churchilliano”. Da allora ce ne sono stati tanti altri. Anche il tener testa a Trump e Vance nello Studio Ovale, gli ha consentito di recuperare appoggi in Europa, ripensare la sua tattica verso Washington, ricostruire con l’aiuto degli europei un rapporto normale con la nuova Amministrazione Usa. Ora gli scandali mettono di nuovo tutto a rischio. La statura politica di Zelensky deve affrontare un’altra prova micidiale.

20 novembre 2025

20 novembre 2025

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