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Con la loro decisione di porre fine a un’esistenza che non volevano più – una decisione libera e autonoma come tutta la loro vita -, Alice ed Ellen Kessler hanno dato volto a un dibattito difficile e complicato. È il loro ultimo regalo al mondo. Prima della loro morte, solo il 15% dei tedeschi sapeva della sentenza con cui la Corte costituzionale ha riconosciuto nel 2020 il diritto al suicidio assistito in Germania. Ora anche lì, come in Italia, la questione è tornata ad essere discussa, nonostante l’incapacità della politica di farsene carico.
In Germania, come in Italia, sono stati i giudici garanti dei diritti fondamentali a introdurre il suicidio assistito («Sterbehilfe», «aiuto alla morte», come lo chiamano i tedeschi), chiedendo al Parlamento di regolamentarlo con una legge apposita. E in Germania, come in Italia, il Parlamento non lo sta facendo. È nei fatti un’ammissione di impotenza. Peggio, è la dimostrazione che la politica non è all’altezza delle sue responsabilità: non sa più prendere, per incapacità o mancanza di coraggio, le decisioni che le spettano e che sfuggono alla logica dei facili consensi. Eppure quello del suicidio assistito e del fine vita è un tema fondamentale, perché riguarda il destino di sempre più persone in un’epoca in cui la medicina riesce a prolungare la vita in condizioni estreme.
In Italia, come è noto, la sentenza della Corte costituzionale risale al 2019: da allora i giudici hanno chiesto più volte a parlamento e ai governi di regolamentarlo, ma questi non lo hanno mai fatto. Anzi, il governo Meloni sta addirittura cercando di bloccare la legge della Toscana che, in assenza di una legge nazionale, ha cercato di stabilirne la procedura sulla base dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale. Intanto le Regioni e persino le singole aziende sanitarie locali vanno in ordine sparso sull’applicazione della sentenza, in alcuni casi imponendo ostacoli gravosi e inutili alle persone che hanno diritto di accedere al suicidio assistito.
Ma il caso delle gemelle Kessler va oltre e mette in luce le differenze che ci sono tra legislazioni e quanto siano complesse le scelte che riguardano il suicidio assistito.
La differenza tra eutanasia e suicidio assistito
Intanto una premessa. Sia in Italia che in Germania a essere stato depenalizzato è solo il suicidio assistito e non l’eutanasia. È una distinzione fondamentale: mentre nell’eutanasia (che è legale nei Paesi Bassi, in Belgio, Lussemburgo, Canada, Spagna, Australia e Nuova Zelanda) è il medico che somministra i farmaci per porre fine alla vita del paziente, nel suicidio assistito è la persona che sceglie di morire ad autosomministrarsi i farmaci.
Questo significa che a porre fine alla propria vita in Italia e Germania possono essere solo persone che sono in grado di intendere e di volere al momento della procedura e che sono in grado di compiere l’azione necessaria ad avviarla (azionare un pulsante o una rotellina con le mani, gli occhi o la voce). Nei Paesi Bassi e in Belgio invece l’eutanasia è può essere fatta anche a persone che non sono più in grado di decidere ma che l’hanno chiesta in precedenza e questo apre interrogativi etici molto diversi.
La differenza tra Italia e Germania
In Italia il suicidio assistito è possibile solo per le persone che, senza interventi medici andrebbero incontro a una morte imminente (anche se non immediata), perché affette da patologie irreversibili che provocano intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche e dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. Si tratta di una limitazione importante: si permette di scegliere di morire con l’assistenza di un medico solo alle persone che sono ancora in vita grazie a un intervento esterno. In altre parole, in Italia le persone non possono scegliere se morire, ma come morire, cioè possono scegliere di accelerare la propria morte e renderla meno dolorosa.
In Germania invece la Corte costituzionale ha sancito che le persone possono decidere di uccidersi anche se la loro morte non è imminente, proprio come hanno fatto le gemelle Kessler. È una differenza decisiva: mentre la Germania – memore dell’eugenetica nazista – limita il diritto all’aborto perché coinvolge la vita in potenza di un’altra persona, riconosce agli individui piena autodeterminazione sulla propria esistenza attuale.
«In molti Paesi, dove esiste la possibilità del suicidio assistito, la malattia è un requisito. In Austria, per esempio. In Germania, invece, non si può attribuire un valore ai motivi, non possono essere giudicati. L’unica condizione indispensabile stabilita dalla Corte costituzionale è che la decisione di morire e di porre fine alla propria vita sia presa in modo libero e responsabile. Ben ponderata» ha spiegato Ursula Bonnekoh della Deutsche Gesellscahft für Humanes Sterben (Dghs), la Società Tedesca per la Morte Umana che ha aiutato a morire le Kessler, in un’intervista rilasciata a Mara Gergolet.
«Altrove, si pensa soprattutto alle persone gravemente malate: e per compassione si permette al medico di aiutarle a porre fine alla sofferenza. Invece, la Corte costituzionale dice: “No, ogni cittadino ha il diritto di disporre della propria vita e di terminarla”. Per la Chiesa cattolica, in parte anche per quella protestante, è stato un colpo durissimo. Entrambe sostengono che la vita sia un dono di Dio e che quindi non si possa deciderne la fine» ha aggiunto Bonnekoh.
Dietro questa interpretazione del diritto c’è una concezione completamente secolare della vita. L’idea che ognuno sia responsabile per se stesso, che il suicidio possa essere un atto razionale di cui non si deve rendere conto a nessuno. L’unica cosa di cui si deve rendere conto è che la decisione di morire sia avvenuta in piena libertà. Il suicidio assistito in Germania non è dunque una forma di pietismo, come in Italia, ma un riconoscimento di una suprema libertà degli esseri umani. È una posizione lontana da ogni forma di paternalismo religioso o di Stato. Molti la negano a priori: il presidente del Comitato italiano di Bioetica, Angelo Luigi Vescovi, per esempio, sostiene che quella di morire non possa mai essere una scelta libera («Mi spaventa che questa loro decisione venga rimarcata da tutti come un manifesto di libertà. Nella stanza in cui sono morte è successo tutto fuorché un atto di libertà. E non trovo giusto vengano raccontate come eroine che si sono liberate dai lacci della vita», ha detto a Il Giornale a proposito delle gemelle Kessler. «Chi conosce la neurofisiologia delle decisioni dice che il processo è condizionato da elementi esterni: in questo caso il far passare la morte assistita come un atto di libertà. È quello che avviene in vari paesi del Nord Europa e credo sia un approccio pericoloso» ha aggiunto).
Il confronto con la Germania mostra per contrasto quanto sia limitato il dibattito e la concezione della libertà personale in Italia, dove una parte della politica e dell’opinione pubblica cerca di opporsi anche alla volontà di morire senza sofferenza per le persone che sono in vita solo grazie a procedure medico-sanitarie. E per cui quella vita prolungata artificialmente è diventata insopportabile.
20 novembre 2025
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