
Questo intervento del dr. Marco Melosi, presidente dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi), fa seguito all’intervista all’avvocata Giada Bernardi, pubblicata ieri, che nel fare il punto sull’evoluzione delle leggi a tutela degli animali nel nostro Paese aveva ricordato come per il codice civile essi siano ancora considerati formalmente «res», ovvero cose, e non esseri senzienti. E aveva parlato di diversità di trattamento sul fronte giurisprudenziale prendendo come esempio la malasanità, che prevede precise responsabilità dei medici nel caso delle persone ma non altrettanto se le vittime di errori o cattiva gestione sono gli animali, perché in sede civile sono appunto equiparati ad oggetti. Di qui la replica dei veterinari che riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Caro Direttore,
letta l’intervista di Serena Palumbo all’avvocata Giada Bernardi, desideriamo portare il contributo dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani offrendo una prospettiva più aderente all’attualità del rapporto con gli animali «da compagnia».
Nel Terzo Millennio gli animali non sono più cose. E per i Medici Veterinari non lo sono mai stati: gli animali sono una vita in cura.
Tutti gli animali sono stati elevati al rango di «esseri senzienti» e godono del massimo grado di tutela: quella garantita dall’articolo 9 della Costituzione Italiana. Il valore della relazione affettiva con l’animale da compagnia trova apprezzamenti giurisprudenziali, sia di principio che di concreto risarcimento, che superano di gran lunga il mero valore economico di «bene», stimando la perdita di un animale da compagnia al pari di una lesione della sfera personale anch’essa costituzionalmente tutelata.
L’innalzamento dello status giuridico dell’animale arriva storicamente ad incrociare una medicina veterinaria ai più alti livelli di specializzazione, di innovazione scientifica, tecnologica, tale da poter garantire ai pazienti-animali lo stesso livello di cure di un paziente umano. I medici veterinari sono fieramente impegnati da mezzo secolo in questa evoluzione di salute e di prevenzione che rafforza non solo la professionalità, ma anche una sensibilità deontologica e umana esposta alla compassion fatigue, una forma di sofferenza professionale strettamente legata alla vita di un animale in cura.
Quanto alla responsabilità, il professionista veterinario ben può essere chiamato a rispondere del proprio operato su tre fronti: deontologico, penale e civile. Non esiste l’impunità. Più frequentemente, – come sanno i numerosi legali e giuristi che ricorrono alle loro consulenze – i medici veterinari concorrono al ripristino della legalità e dei diritti animali violati, anche facendosi parte attiva in procedimenti penali e civili.
E poiché il Consiglio di Stato ci avverte che vivere con un animale da compagnia è un diritto e un dovere, è tempo che l’atteggiamento protezionistico si indirizzi verso la crescita del possesso responsabile positivo, incluso il riconoscimento della alterità animale dall’essere umano. L’intervento repressivo può dare soddisfazioni legali che arrivano ormai a danno compiuto.
12 novembre 2025 ( modifica il 12 novembre 2025 | 18:08)
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