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Paura di volare? Ecco perché viene e come affrontarla per tornare in aereo

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Il 2025 è un anno ricco di possibili ponti per fare periodi di ferie anche lunghi: il traffico aereo ha avuto un’annata record già nel 2024 (con valori tornati al pre-pandemia) e si preannuncia un periodo altrettanto affollato nei cieli.

La paura di volare

Tra tutti i passeggeri, ce ne sono molti che affrontano il viaggio aereo con qualche timore, che può andare da una semplice preoccupazione, all’ansia, fino a un vero e proprio attacco di panico o all’evitamento totale del volare.

La paura di volare è molto diffusa, può provocare sintomi fisici come battito cardiaco accelerato, sudorazione, tremore, vertigini, nausea, mancanza di respiro, dolore al petto o vomito o sintomi comportamentali che spingono a cancellare il volo, a decidere di prendere un treno, a scegliere di non andare in vacanza o in un viaggio di lavoro che prevedano tratte aeree. 

Paura o fobia?

A volte la paura diventa una vera e propria fobia: «La differenza fra paura e fobia è l’invalidazione che può dare una fobia – spiega Marta Rizzi, psicologa-psicoterapeuta ad orientamento cognitivo costruttivista relazionale -: la fobia è una reazione di intensa paura rispetto ad un elemento (situazione, animale, luogo, oggetto) che viene identificato come molto pericoloso in maniera “distorta”, esagerata ed irrealista al punto da evitarlo avendo così ripercussioni sulla vita privata e/o pubblica in funzione della gravità, intensità e persistenza dei sintomi». 

Le cause 

«Il timore di volare può essere dovuto a esperienze precedenti negative: una forte turbolenza, un racconto di una persona, un’alta sensibilità alla ricezione di notizie catastrofiche, la paura di morire, di affidarsi a qualcun altro, l’assenza di controllo diretto», ma dietro a questa ansia si possono celare altre paure: «Paura dell’altezza, paura degli spazi chiusi, degli spazi affollati», aggiunge la psicologa.

I corsi  

Ci sono tanti modi per affrontare il problema, sia personalmente, sia facendosi aiutare da uno specialista a seconda della gravità dei sintomi.

Alcune compagnie aeree promuovono corsi dedicati basati solitamente su quello che si chiama «intellettualizzazione» come meccanismo di difesa: spiegare la meccanica dell’aerodinamica, far fare prove con i simulatori di voli, mettere il rischio in prospettiva (come la considerazione che è molto più probabile morire in un incidente stradale).

Cosa non fare

Quel che – potendo – andrebbe evitato è smettere di volare: quando eviti o annulli un volo, provi un grande senso di sollievo, che fornisce un rinforzo positivo al tuo cervello. La paura, rafforzata da questo, diventa più grande: «Si consolidano le credenze – conferma Rizzi -. È necessario invece esporsi in qualche modo alla situazione temuta, mettersi alla prova con tutta una serie di condizioni che possono agevolarci: con una persona di cui ci si fida, per tratte brevi, in un periodo non troppo affollato».

Cosa fare

Ci sono anche tecniche che possono essere insegnate e terapie molto efficaci che danno i loro effetti in tempi abbastanza veloci: «La terapia che funziona maggiormente è quella cognitiva comportamentale perché riesce a gestire le attivazioni dei sintomi fisici ed emotivi, tra cui il panico – dice la psicologa -. Prevede un lavoro sulle credenze irrazionali, agevola l’acquisizione di una serie di tecniche (come quelle di rilassamento, respirazione, meditazione) e arriva alla graduale esposizione che permette alla persona di credere nelle proprie risorse. Si può anche agire sul pensiero positivo: tentare di cambiare prospettiva è un allenamento che è bene fare costantemente nella vita per permetterci di attingere a un pensiero diverso che non sia catastrofico o negativo. Nel momento in cui riusciamo a recepire che un tipo di pensiero diventa disfunzionale abbiamo il potere (con l’aiuto di qualcuno) di cambiare narrativa».

Un aiuto 

Nel caso di una vera e propria fobia «paralizzante», con riflessi negativi sulla propria vita privata e pubblica, si può pensare a un aiuto psicologico un po’ più ampio: «Il lavoro, con l’approccio cognitivo costruttivista, si sposta sul significato personale associato a quella paura, guardando il sintomo come un segnale profondo e radicato di qualche cosa che non va. I sintomi, se non “decodificati”, compresi, possono poi ripresentarsi, magari sotto altre forme. Ecco che allora si va a lavorare sulla propria narrativa e storia di sviluppo indagando anche l’aspetto relazionale», conclude Marta Rizzi.

E per i compagni di volo sereni che si addormentano placidi al decollo: non sminuite la paura degli altri, parlatene, proponete di guardare o ascoltare insieme qualcosa che può fungere da distrazione. 

12 aprile 2025

12 aprile 2025

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