
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK – La seconda presidenza Trump, dopo il caotico primo mandato 2017-2021, sembra aderire più strettamente alle regole da lui imparate nella precedente vita da mattatore d’un reality show: essere sempre al centro dell’attenzione, creare costantemente suspense in attesa della prossima decisione.
You’re fired, sei licenziato, o vieni promosso alla prossima puntata e si ricomincia.
L’Ucraina non fa eccezione: prima gli insulti di febbraio a Zelensky, sottoposto da Trump e dal vice JD Vance durante la visita alla Casa Bianca alla versione diplomatica del vecchio gioco del nonnismo da caserma, lo «schiaffo del soldato»: poi, davanti all’impossibilità di replicare la sparata sulla «pace in 24 ore», l’ammissione che da Putin «arrivano solo stronzate», ben sapendo che i media (tradizionali e social) si sarebbero avventati sulla scelta irrituale del vocabolo (è la seconda parolaccia detta in pubblico da un presidente americano dai tempi di George Washington, la prima volta è sempre firmata Trump, quindici giorni fa, sulla guerra Iran-Israele).
E adesso? Ecco ieri il classico «cliffhanger», il finale sospeso, il momento di suspense che in tv si usa appena prima dello stacco pubblicitario per evitare che il pubblico cambi canale: ha promesso di fare, dopodomani, «un importante annuncio sulla Russia», dopo essersi sentito «deluso» da Putin. «Vedrete cosa succederà. Vedrete», ha detto seccamente ai reporter che, prima della partenza per il Texas dove ha visitato i luoghi dell’alluvione, gli chiedevano del bombardamento di droni russi su un ospedale per la maternità a Kharkiv.
In un’intervista con la Nbc ha ufficializzato la conclusione di un accordo con la Nato in base al quale gli Stati Uniti invieranno armi a Zelensky, ma non direttamente: tramite l’Alleanza. E la Nato, ha sottolineato, pagherà le armi (tra le quali anche i Patriot) «al cento per cento». Il conto? Sui 300 milioni di dollari e, oltre ai Patriot, potrebbe includere razzi offensivi a medio raggio. È la prima autorizzazione concessa da Trump (la cui base è, se non apertamente filorussa, anti-ucraina su basi isolazioniste) perché i recenti invii di armi erano stati fatti grazie alle precedenti autorizzazioni concesse da Joe Biden.
C’è pochissima intesa bipartisan ormai al Congresso — Trump non ne ha bisogno — ma un disegno di legge sponsorizzato dal senatore repubblicano Lindsey Graham insieme con il collega democratico Richard Blumenthal, che verrà votato entro tre settimane, prevede dazi punitivi del 500% sulle merci importate da Paesi che continuano ad acquistare petrolio, gas, uranio e altre merci russe (cioè Cina e India, che stanno di fatto finanziando la guerra di Putin). Trump, prima di firmarlo, vuole una correzione sul testo, avocando a sé e sfilando al Congresso (al quale peraltro la Costituzione affida la gestione dei dazi, ma sono dettagli) la decisione se far scattare quella che è una sanzione secondaria.
Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto di aver ricevuto dall’omologo russo Sergei Lavrov nel loro incontro in Malesia al vertice Asean del sudest asiatico una «nuova idea. Non ve lo dirò, non vogliamo fare una piccola sorpresa?», facendo eco alla strategia da reality del suo principale.
Secondo Lavrov si è svolto uno «scambio di opinioni sostanziale e franco. Entrambi i Paesi hanno ribadito il loro reciproco impegno a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti, a ripristinare la cooperazione economica e umanitaria russo-americana e a mantenere contatti senza ostacoli tra le società dei due Paesi, cosa che potrebbe essere facilitata dalla ripresa del traffico aereo diretto».
11 luglio 2025
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