Home / Sport / Patrick Vieira: «Io e Ibrahimovic ci scontravamo in allenamento, ma siamo amici. Con Mourinho all’Inter è finita male per colpa mia. Mi manca vedere i figli crescere»

Patrick Vieira: «Io e Ibrahimovic ci scontravamo in allenamento, ma siamo amici. Con Mourinho all’Inter è finita male per colpa mia. Mi manca vedere i figli crescere»

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Patrick Vieira, 49 anni, osserva gli affreschi di Villa Rostan del XVI secolo, quartiere Pegli, sede del Genoa. «È proprio bello lavorare qui». L’ex centrocampista francese ci è arrivato dopo aver vinto da calciatore in giro per il mondo cinque scudetti, un Mondiale, un Europeo, tre Premier League. Passato glorioso ma sguardo solo in avanti, da questa villa affacciata sul mare: «Il mio sogno da allenatore? Giocare in Europa con il Genoa».

Dopo la sconfitta beffarda contro il Bologna, in Coppa Italia è arrivata la vittoria contro l’Empoli.
«Passare il turno era un nostro obiettivo, ho visto una squadra che cerca sempre la giocata e che vuole continuare a pressare. È una competizione importante: una società che vuole crescere deve essere ambiziosa e puntare ad andare avanti il più possibile».

In serie A l’obiettivo è la salvezza?
«Non dobbiamo vergognarci a dirlo. Quando sono arrivato l’anno scorso, sembrava impossibile poter rimanere in serie A. I ragazzi hanno capito subito che sarà una stagione difficile, l’atteggiamento è giusto. Pensare alla salvezza non è una mancanza di ambizioni».

Senza dimenticare i giovani. Ma davvero manca talento nel calcio di oggi?
«Il talento deve crescere all’interno della struttura di una squadra. Penso ai nostri Carboni, Venturino, Ekhator, Fini: devono capire che la classe da sola non basta. Ma hanno bisogno di tempo e spazio. Siamo pronti ad accettare qualche errore, anche quelli che costano punti. Se noi domani andiamo ad acquistare un calciatore che gioca nel ruolo di Venturino, rischiamo di dargli un brutto segnale».

Dal punto di vista del rapporto con i calciatori, che allenatore è Vieira?
«Diretto e onesto. I miei ragazzi sanno che possono sempre venire nel mio ufficio per una discussione. Devo dire loro anche quello che non vogliono sentire».

Avrà imparato dai grandi tecnici che ha avuto: Wenger, Capello, Mancini, Mourinho.
«La loro qualità era essere sé stessi, non devo imitarli: Wenger era più diplomatico, Mourinho e Mancini meno».

Con Mourinho all’Inter non era finita bene.
«Me ne sono andato a gennaio, pochi mesi prima del Triplete. Ma per colpa mia, non sua».

Voleva giocare di più.
«Mi ha sempre detto le cose con trasparenza. Abbiamo avuto un rapporto difficile, ma sincero. Quando ci siamo rivisti, ci siamo salutati con affetto. E ora che sono dall’altra parte, comprendo il suo punto di vista».

È vero che inizialmente non si vedeva allenatore?
«Sì. Volevo solo fare il giro del mondo con la famiglia».

E poi?
«Sono rimasto al Manchester City per due anni: i giovani mi guardavano, mi ascoltavano. Ho capito che allenare sarebbe stata la mia strada».

Anche se significa stare lontano dalla famiglia.
«I gemelli di 5 anni stanno finendo l’asilo, la figlia grande sta per compierne 14: vivono a Strasburgo in Francia».

Le mancano?
«A questa età li vuoi vedere crescere. Quando sto con loro dopo diverso tempo, sento di essermi perso qualcosa».

Zlatan Ibrahimovic ha detto: «Vieira è il compagno da cui ho imparato di più».
«Entrambi vivevamo per la competizione, anche in allenamento. Lo stesso vale per i nostri compagni: penso a Buffon, Cannavaro e Thuram alla Juve, a Cambiasso, Zanetti e Stankovic nell’Inter».

Tra lei e Ibra non sono mancati scontri.
«Fa parte del calcio. Ma siamo buoni amici: nel calcio non c’è niente di personale. Per alzare il livello della squadra, dobbiamo essere esigenti con i nostri compagni».

Lei era in campo nella finale del Mondiale 2006, testata di Zidane a Materazzi.
«Ogni tanto capita di perdere la testa. Mi dispiace per l’uomo Zidane e per noi francesi: con lui in campo, avremmo vinto. Se potessi scegliere una partita da rigiocare, sarebbe quella. Ma l’Italia avrebbe meritato nella finale dell’Europeo nel 2000».

L’allenatore con cui avrebbe voluto lavorare?
«Jurgen Klopp».

Prima di scegliere Chivu, l’Inter l’ha cercata?
«Ho letto e sentito tanto, ma a me non è arrivato nulla. E io volevo solo lavorare nel Genoa anche per i tifosi: eccezionali».

Il Ferraris è davvero così speciale?
«Il popolo genoano ha una passione incredibile, si crea un’atmosfera che mi fa pensare all’Inghilterra».

Julio Velasco dice: «L’allenatore deve uccidere il giocatore che è in lui».
«Sono totalmente d’accordo. Ed è la cosa più difficile da fare. Non mi piace parlare del mio passato, devo essere credibile come allenatore. Ho messo il Vieira calciatore nell’armadietto, ho chiuso a chiave e l’ho buttata via».

Lei è uno dei pochi allenatori neri: non un buon segno nella lotta al razzismo.
«Combattiamo il razzismo con una t-shirt e una foto, mi sto stufando. Non si parla della mancata diversità in panchina, nel ruolo di direttore sportivo, tra i presidenti, nelle più grandi istituzioni come Uefa e Fifa. C’è bisogno di più diversità anche ad alto livello. Deve partire tutto da lì».

27 settembre 2025 ( modifica il 27 settembre 2025 | 07:03)

27 settembre 2025 ( modifica il 27 settembre 2025 | 07:03)

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