
Aveva avuto la possibilità di scappare, di fuggire alla persecuzione nazista che gli aveva imposto di consegnarsi a causa del suo impegno nella Resistenza. Don Bepo Vavassori gli aveva anche già preparato il viaggio, eppure don Antonio Seghezzi scelse di restare per evitare che altri soffrissero al suo posto. «Non si può restare nelle retrovie — disse —. Non se si vuole avere il diritto di fare il viaggio di ritorno, un giorno, con i propri soldati senza vergognarsi». Per Marialuisa Miraglia, sceneggiatrice del nuovo spettacolo «Là dove finisce il buio – due uomini di fede al tempo della Resistenza», che racconta le vite di don Seghezzi e don Bepo e che debutterà questa sera a Osio Sotto, è questo l’episodio che più le è rimasto impresso. La scelta del luogo per il debutto non è casuale: Osio Sotto è il paese natale di don Bepo, così come Premolo, dove lo spettacolo verrà replicato il 30 agosto, è quello di don Seghezzi.
Prodotto da deSidera e Teatro de Gli Incamminati, coprodotto dalla Fondazione Adriano Bernareggi e con il patrocinio della Diocesi di Bergamo e il sostegno del Comune di Osio Sotto, lo spettacolo prende forma sotto la penna di Marialuisa Miraglia e con la regia di Stefano Panzeri, che ne è anche l’unico interprete. La musica, firmata da Simone Riva, ha un ruolo centrale: quella di evocare la figura di don Seghezzi, che in scena non appare mai ma è costantemente richiamato. È rinchiuso in una cella vicina a quella di don Bepo, nella prigione di Sant’Agata, a Bergamo, dove entrambi furono detenuti nel dicembre del 1943. Colui che parla con il pubblico è don Bepo: sulla scena si alternano due ambienti e due momenti temporali, da un lato la cella buia, dall’altro uno spazio futuro dove un don Bepo più anziano rievoca la vita dell’amico. «Ho immaginato un monologo che fosse anche un dialogo — racconta Miraglia, al suo debutto come autrice teatrale —. Un racconto che parte dalla cella, luogo reale e insieme simbolico, dove il tempo è sospeso e il buio, quello fisico, della guerra e del fascismo, sembra non finire. Ma a parlare è un don Bepo sopravvissuto, che quel buio lo attraversa per restituirci la luce della memoria».
Due vite e tre anniversari: gli 80 anni dalla Liberazione, gli 80 anni dalla morte di don Seghezzi e i 50 da quella di don Bepo. Per costruire questo intreccio teatrale e umano, ricco di storia, Miraglia ha lavorato a lungo su lettere, testimonianze e biografie. Quelle di don Bepo sono numerose: fondatore del Patronato San Vincenzo, punto di riferimento per generazioni di ragazzi, fu arrestato per aver sostenuto la rete clandestina della Resistenza ma sopravvisse al carcere, divenendo una figura simbolo della solidarietà bergamasca. Più frammentarie le fonti su don Seghezzi, che aiutò i renitenti alla leva e i partigiani e, dopo essersi consegnato, morì a Dachau di tubercolosi. «La difficoltà più grande — prosegue la sceneggiatrice dello spettacolo — è stata avvicinarmi a due sacerdoti senza cadere in un racconto agiografico. Ho scoperto due uomini profondamente umani, capaci di dubbi, paure, tentennamenti, ma che scelsero di agire e di esserci. Spero di rendere onore alla loro memoria e che il pubblico, come ho fatto io, si interessi alle loro storie».
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2 agosto 2025
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