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Ordinanza «anti-caldo» in Piemonte, Airaudo: «Arriviamo in ritardo, i tanti dubbi di Cirio hanno messo a rischio gli operai nei cantieri»

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«La regione l’anno scorso era stata la prima a varare l’ordinanza anti caldo, mentre oggi è solo quattordicesima. Il presidente Cirio ha aspettato troppo. Fino ad oggi si sono rischiati infortuni e problemi alla salute, penso a chi lavora nei cantieri o ai rider». Così Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte, commenta la nuova norma che fino al 31 agosto limiterà gli orari di lavoro per chi è esposto al sole. «Di fronte alle temperature elevate degli ultimi anni servirebbe una normativa nazionale, non si torna più indietro, e occorre pensare ad ammortizzatori sociali». Ma oltre alla nuova ordinanza, ieri (1 luglio) a Torino è andata in scena l’assemblea generale della Cgil piemontese. Presente anche il leader del sindacato, Maurizio Landini, con tanti temi sul piatto, da Stellantis al contratto dei metalmeccanici.

Airaudo, Landini ha chiesto al governo di convocare immediatamente un tavolo con sindacato e Stellantis per parlare seriamente del futuro industriale. È d’accordo?

«Mi sembra una richiesta ragionevole. L’azienda ci dica cosa intende fare oggi e domani. Occorre capire se serve la ricerca di nuovi produttori, la componentistica ne ha bisogno. L’esempio può essere quello delle Officine Vica di Rivoli, acquistate dai cinesi. Col monoproduttore ci stiamo impiccando. Il Governo si faccia dire la verità».

Imparato nelle scorse ore ha detto che oggi la crisi dell’auto è un dramma industriale, e che se le cose non cambiano chiuderanno le fabbriche. Cosa risponde?
«Purtroppo a Torino la crisi dura da molto tempo. Stellantis ha avuto sempre spazio per fare ciò che voleva, compresa la possibilità di non rispettare i patti. I piani industriali falliti sono molto più dei successi, partendo dall’ex polo del lusso. Il ritardo tecnologico dipende dalle imprese, che negli anni scorsi hanno preferito tenere alti i profitti rinunciando a ricerca e innovazione. Ci opporremo alle chiusure».

La multinazionale dell’auto però non sembra l’unica realtà ad aver disinvestito in Piemonte. Negli scorsi giorni l’arcivescovo Repole ha affermato che Torino ha troppi soldi in banca, nessuno fa interventi sul territorio e i giovani sono costretti ad andarsene. Cosa ne pensa?
«Sono stupito da chi prova a negare questa verità. Tutti sanno che è così, la città è più divisa e povera. Eppure il Piemonte è la terra dei Paperoni d’Italia, decisi a fare affari fuori dal territorio senza alcun senso di responsabilità».

A che punto siete con il contratto dei metalmeccanici?
«La riapertura del tavolo è un dato positivo, la categoria fa bene a chiedere quel +17% mangiato dall’inflazione. I prezzi del carrello della spesa li conosciamo tutti. L’economia non gira se il cavallo non beve, serve ridare potere d’acquisto alle famiglie. Chiedere a Carrefour, che sta pensando di lasciare il Paese. Ad oggi siamo a 40 ore di sciopero, per alcuni contratti in passato ce ne sono volute 400. Serve un grande sforzo dei lavoratori, non ci fermiamo».

Nel frattempo il referendum non ha raggiunto il quorum, neanche a Torino (40%). Come se lo spiega?
«L’irresponsabilità della destra ha inciso, ma non parliamo di sconfitta. In Piemonte abbiamo raggiunto 1,2 milioni di voti, 120 mila in più di quelli che hanno permesso a Cirio di diventare presidente. Non siamo contenti, ma continueremo a rappresentare chi è andato alle urne».

A votare sono stati soprattutto i giovani under 35, che però fanno fatica ad essere rappresentati. In Italia il sindacato più forte è quello dei pensionati. Serve una riflessione?
«Sicuramente, il sindacato in parte deve cambiare. Questo è anche un segnale di futuro. Dobbiamo ripartire dai temi del lavoro».


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2 luglio 2025

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