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Noi e Annie: perché a Diane Keaton è bastato un solo film per farci innamorare per sempre di lei

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Non conosco le cause della morte, improvvisa come è sempre per tutti gli attori e attrici famosi che in realtà continuano a vivere, ma Diane Keaton – di cui siamo orfani, già inconsolabili, da un giorno – come poteva sopravvivere nell’America che vediamo oggi e ancor peggio domani?

Il Paese, il mondo, è tornato indietro e lei l’ha sorpassato, è andata avanti: del resto, come dimostra il film da lei diretto, Paradiso, del 1987, Diane si era già molto informata sull’al di là e su quale fosse la scorciatoia per arrivare presto in Paradiso.

Per me, per noi, per tutto il pubblico che si è riconosciuto nelle sue nevrosi tipiche della America ’70 premiate con l’Oscar post freudiano, ma prima ancora, per chi stava a Broadway nel ‘68 nei song ribelli di Hair, Diane Keaton era la ragazza intellettuale ma sotto sotto non del tutto soddisfatta della porta accanto.

Qualche sprovveduto direbbe radical chic, ma Diane aveva dimostrato di sapersi inerpicare anche lungo altre storie, quelle sessualmente sfrenate di In cerca di Mr. Goodbar o del Padrino, dove dibatte l’aborto col Michael Corleone, lo junior.

Ma soprattutto l’attrice rimaneva sempre la donna nata in California ma naturalizzata a Manhattan (era nata col biglietto per New York già nelle sue manine) e non a caso il cognome della Annie del suo caro Woody, era già Hall all’anagrafe prima dei titoli di testa rigorosamente in stile Windsor Light.

Sapevamo che dietro ai vari ruoli, anche cecovian-bergmaniani (September di Allen), dietro ai salotti del club delle prime mogli, nel frizzare da champagne di marca della commedia neo sofisticata al femminile aggiornata ai tempi, dietro alla scrittrice che segue John Reed soprattutto perché era Warren Beatty in Reds, c’era la nostra amica cui sappiamo che avremmo potuto confidare mini e maxi segreti, certi di comprensione, perché la razionalità era scritta nel suo biglietto psicologico da visita.

Un tipo di donna che qui in Italia non era ancora arrivata ma il cinema ci aveva già presentato: una «diva» fuori dal divismo, che ritira il David di Donatello tra-vestita da Charlot, che non si ritocca nulla (labbra e pomelli restano al posto giusto) se non la dinamica delle idee, dei pensieri e dei sentimenti.

Avendo girato 8 film con Allen noi la vediamo come la fidanzata perenne vittima del maniaco depressivo e gran ipocondriaco, sempre in giro per cocktail e mostre o in fila per un film svedese.

Ma la Keaton vera, lei, Diane, vinceva sempre alla fine, la sua personalità saltava fuori da qualsiasi travestimento, non perché non fosse una straordinaria attrice, ma perché qualcosa dai suoi occhi, dal suo modo di fare e di muoversi, ce ne raccontava sempre la più intima personalità.

Era esattamente la nipotina privilegiata di Katharine Hepburn, che fu la più innovativa delle grandi attrici americane degli anni d’oro, sempre un passo avanti ai tempi, capace di tenere anche due uomini al guinzaglio, anche se erano James Stewart e Cary Grant, di essere progressista non stop e di nuotare al mattino presto nelle acque gelate del Maine e una delle prime a portare i pantaloni.

Bizzarra e raffinatissima nel vestirsi, lanciando mode ma per pochi, Diane Keaton si è accompagnata da sola, single con molti amori lasciati come figurine, lungo il corso di un tempo cinematografico fortunatissimo: gli anni ’70, soprattutto, sono stati una pacchia per i film americani, e anche gli ’80, prima che tutto si trasferisse nel «fantasy» che ha sepolto il cinema e le sceneggiature.

Ora che Woody è un 90enne silenzioso contro voglia e Diane è fuggita via da un mondo non più a sua misura, ci manca la donna vivace, simpatica, indipendente, sempre molto complice di altre donne.

Ma, attenzione, non frigida né rigida, non nemica degli uomini, che spesso «rieducava», non solo Woody-Bogart di Provaci ancora Sam, ma anche Jack Nicholson nell’ultimo suo film Tutto può succedere, 2018, compresa una prediletta sfumatura edipica.

Ci facevamo un po’ vanto di stimare e comprendere Diane Keaton, la ragazza Wasp (white, anglo-saxon protestant) che per forza doveva metterci un po’ di distanza fra sé stessa e il personaggio, perché da quella viene la satira: per noi che l’abbiamo tanto sentita battibeccare con Allen, Diane era chic, ma non per lo strascico dei vestiti, ma delle idee non radicali ma in divenire staccando i fogli del calendario, per questo bastava un film per farcela amica per sempre.

12 ottobre 2025

12 ottobre 2025

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