
«Nei ristoranti apri una bottiglia di champagne e ti descrivono tutto: la produzione, la malolattica, il materiale delle botti. Poi arriva il cameriere con i formaggi e dice al massimo: “Capra, Valle d’Aosta”. Fine. Io, in maniera molto arrogante, ho detto: “Non ci sto”», racconta Nicolò Quarteroni. Gestisce «Ferdy Wild», agriturismo in Val d’Inferno nelle Alpi Orobie, una stella verde Michelin.
Un rifugio per chi vuole approfondire il mondo dei prodotti caseari: dalla mungitura in alpeggio a 2mila metri, con i mandriani che dormono nelle grotte per seguire le vacche, fino al carrello. Un viaggio in una decina di bocconi. «Una persona appassionata si prende la giornata, mangia otto portate e beve otto bicchieri di vino in mezzo a un prato meraviglioso», dice Quarteroni descrivendo la sua attività.
Una costruzione in pietra ai piedi delle Alpi con animali, molti i cani. «Però se non si va in alpeggio, non si munge la vacca lì e non si porta il latte a spalla, non si capisce il valore dietro a questi prodotti», continua. «Ferdy Wild» permette di scoprire una produzione che rifiuta l’industrializzazione «senza anima», come la definisce il titolare. In quelle zone c’è un detto: «Non è il grasso del dolce a chiudere l’appetito, ma è la sapidità». Ecco perché di solito il carrello dei formaggi è servito in fondo al menu.
Tranne da «Ferdy Wild», dove viene portato a inizio pasto: «Sennò la gente non ha più fame», spiega. Quarteroni racconta che da bambino nel ristorante dei genitori portava a fine pasto un piatto con qualche formaggio scelto da lui, ma è solo di recente che hanno costruito un vero carrello fatto nella loro falegnameria. «E poi con un artista bergamasco abbiamo realizzato un piatto che rappresenta le montagne della zona. Così anche in maniera iconografica raccontiamo i momenti e le altitudini diverse in cui vengono realizzati i prodotti», dice. Ma a tavola non c’è tutto il tempo necessario per parlare di vacche, pascoli e latte. «Avevo bisogno di un momento diverso per spiegare alla gente cos’è il formaggio. Oggi ci sono persone che sanno tutto del mondo del vino e poi non conoscono la differenza tra una ricotta e uno stracchino».
Così è nato il cheese tasting, due ore alla settimana dedicate all’assaggio e alla discussione di tecniche casearie. «La prima cosa che le persone non capiscono è che il latte cambia a seconda di ciò che mangia la vacca. Quindi facciamo assaggiare uno stesso formaggio con un’alimentazione sia da fieno sia da pascolo — spiega Quarteroni —. La preparazione è la stessa, il gusto totalmente diverso». Uguale con le diverse altitudini.
Quando gli animali pascolano tra giugno e agosto passano da 1.400 a 2.000 metri. Anche qui lo stesso esemplare dà vita a prodotti diversissimi. «Se assaggi un formaggio di giugno noti che è molto più grasso, un po’ più semplice, arrivi a trovare le massime complessità più avanti. Ma lì subentra il meteo, come sta la vacca, come sta la mandria in quel giorno. Formaggi diversi possono raccontare momenti specifici del pascolo». Per far tastare questa imprevedibilità Quarteroni ha deciso di servire nel suo carrello anche il «dietro le quinte» della produzione: un prodotto fallato (è il destino del 40% delle forme). «Se non ne hai mai mangiato uno fallato (chiaramente, parliamo di forme corrette a livello sanitario) non puoi capire davvero quale sia il prodotto buono. Non puoi capire davvero il mondo dell’artigianalità».
22 settembre 2025 ( modifica il 22 settembre 2025 | 17:24)
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