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Netanyahu valuta la tregua a Gaza, mentre in Cisgiordania i coloni si scontrano con la polizia

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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – La scritta «vendetta» sverniciata sul muro della stazione di polizia israeliana in Cisgiordania non ha niente di legale, dopo che i coloni hanno devastato i villaggi palestinesi attorno. Eppure Benjamin Netanyahu si appella agli estremisti ebrei richiamandoli a non «prendere la legge nelle loro mani» come se ci fosse qualche pena da comminare, qualche torto da riparare perché lo Stato è assente e non li difende. Al contrario, le forze israeliane non proteggono gli arabi dalla violenza dei coloni come dovrebbero secondo le norme internazionali.
Il primo ministro decide di intervenire quando gli ultrà delle colline attaccano quei simboli del potere che sono lì per legittimare loro, ma i giovani con la kippah all’uncinetto percepiscono la presenza dell’esercito o degli agenti (se non conniventi) come un limite alla volontà suprematista, come un limite alle scorrerie nel Far West di cui si considerano i pionieri conquistatori.

Bibi, com’è soprannominato, deve scegliere se seguire il calendario annunciato via social media dal presidente americano Donald Trump — «tregua a Gaza entro due settimane» — o dilatare le decisioni del governo secondo i tempi biblici degli alleati messianici e oltranzisti. Itamar Ben-Gvir e soprattutto Bezalel Smotrich rischiano — calcolano i sondaggi — di non aver un posto nel prossimo parlamento, per ora pretendono di avere una poltrona in prima fila nelle strategie della coalizione di estrema destra al potere. Così Smotrich, ministro delle Finanze e leader dei coloni, ha ottenuto lo stop all’ingresso degli aiuti umanitari nel nord di Gaza, l’unica area ancora gestita dalle Nazioni Unite, dopo alcuni video che mostrerebbero l’assalto dei coloni ai convogli, mentre i capi clan palestinesi replicano: «Siamo stati noi a scortare i camion per evitare i saccheggi».

Il caos attorno alla distribuzione del cibo resta offuscato come la polvere ocra che si deposita tra le macerie di Gaza. L’organizzazione americana che gestisce i quattro punti di consegna nel sud dei 363 chilometri quadrati — dopo il blocco imposto da Netanyahu per 80 giorni e l’esclusione dell’Onu dalle operazioni in quelle zone — chiede che l’esercito indaghi sulle accuse elencate in un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Haaretz.
Nella ricostruzione i giornalisti raccolgono le testimonianze di soldati dispiegati nella Striscia che denunciano «l’ordine di sparare a chiunque si muova nelle zone militari, anche civili disarmati». Nonostante le smentite dello stato maggiore, la Gaza Humanitarian Foundation — finanziata dagli Stati Uniti — vuole chiarire «che le sparatorie non sono avvenute vicino ai nostri centri di distribuzione».

Le vie di accesso ai punti di consegna, come la maggior parte del territorio, sono controllate dalle truppe di Tsahal. I militari sentiti da Haaretz spiegano che qualunque movimento — di fatto civili affamati — in quelle aree prima dell’apertura al mattino della distribuzione di pasti e dopo la chiusura è considerato minaccioso. E quindi un bersaglio, anche se la folla è disarmataLe trattative per il rilascio dei 49 ostaggi ancora tenuti dai terroristi, solo venti tra loro in vita, potrebbero riprendere come ieri sera pretendevano migliaia di israeliani tornati a protestare dopo i 12 giorni di guerra con l’Iran. Netanyahu sarebbe pronto a inviare una delegazione al Cairo per i negoziati, mentre Naftali Bennet — il principale avversario nelle eventuali elezioni — invoca la tregua immediata per il rilascio dei rapiti: «Penseremo dopo a sradicare Hamas».

28 giugno 2025

28 giugno 2025

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