
C’è un doppio, differente punto di svolta nel percorso in narrativa di Roberto Vecchioni. Un percorso che inizia dal lontano 2000 con
Le parole non le portano le cicogne
; che ha conosciuto la misura breve del racconto; che s’è provato col giallo alla Agatha Christie con De Saussure a indagare su
Significante e significato
. Percorso nel quale l’elemento a tornare sempre è «la parola»: quel lemma sottoposto di libro in libro a un costante lavoro di affinamento del suo rapporto con la narrativa, sino a trovare in
Il libraio di Selinunte
quel primo punto d’approdo e di svolta grazie a un apologo fiabesco dai toni delicati e sognanti e ritmi da ballata che vede un ragazzo scoprire la forza delle parole e del valore delle sfumature: forza e valore che lì, «nella loro strutturazione facevano davvero, d’un autore di testi, uno scrittore e narratore».
Primo approdo perché da lì Vecchioni parte per un nuovo percorso, comunque accidentato com’è per ogni ricerca, teso a far sì che non sia più la parola a sostenere l’affabulazione, ma sia la parola stessa a farsi affabulazione. Che è quanto si realizza in Lezioni di volo e di atterraggio nel momento in cui «le parole, come musica di seta» non ti portano più lontano «dentro le immagini, nei libri e nella pelle/ di chi aveva già vissuto cose tanto uguali a me/ nella follia d’essere uomo», ma dentro te stesso e nella tua stessa vita, il rapporto con gli altri ma ancor più con te stesso. E questo attraverso il «sondare il possibile»: ossia l’insinuarsi in quanto di ricchezza e senso ogni «parola» possiede, consci della sua spesso inesauribile profondità etimologica.
Che quell’incontro tra follia e maieutica subito dichiarato nel capitolo ad apertura di racconto, Atterraggio, riassuntivo d’una esperienza: «Lui è pazzo, ne abbiamo le prove. Ce ne siamo resi conto quasi subito. Lui non insegna: conversa d’infiniti mondi e progressivi come se discutesse di regole del Monopoli e di come cambiarle. C’è e non c’è. Insegna come se le cose che ci dice le sapessimo già e dovessimo solo ricordarle. Ci porta fuori».
Dove a dichiararlo è la voce memoriale d’un alunno, perché, materialmente e temporalmente, il volume si presenta come un susseguirsi di lezioni che vedono in campo l’autore nelle vesti di Professore, coi suoi ragazzi dell’ultimo anno delle superiori, avviati all’esame di maturità e impegnati nella stesura d’una ricerca. Un mondo liceale rivisitato nei momenti delle cosiddette «giornate di follia» fuori dalle aule, dove «il volo» si concretizza immediatamente con l’entrare nel vivo delle parole, partendo da una scelta anche a caso, procedendo per libere associazioni, insinuandosi in ciascuna di esse nel loro incrociarsi tra storia ed etimologia, per divenire non di rado variamente centrali nella storia del pensiero.
E ne vengono quindici lezioni-racconto «aperte» davvero in ogni senso: perché il fil rouge strutturale è costituito da quelle specie di lezioni quanto mai inusuali e all’aria aperta, quasi a poter meglio respirare il senso della libertà di pensiero, nella volontà di stravolgere le idee preconfezionate, scomporre le apparenze, sondare le possibilità parallele e, aggirando l’ovvio, «guardar fuori, oltre, immaginando dove ha casa la speranza», ossia ciò che l’insegnante dovrebbe saper dare.
E del resto, gli stessi titoli di capitolo giocano su quell’aspetto, come sfide-riflessioni su verità e mito, su certi modi di dire nella cui cripticità però «ci trovi l’uomo», o sul problema dell’anima, quali Uomini e topoi o Morte di un commesso plagiatore (ovvero Socrate). O sfide-recite in cui reinventare passi classici da parte dei ragazzi in forma di poesia o anche di racconto, come in Odissea nelle spezie il ritorno di Odisseo. O sfide-scrittura, misurandosi con la forma dell’apocrifo in Non di solo pane, traducendo in scambio epistolare la conversazione tra Matteo, Luca e Marco su come «trasformare in greco, questo greco universale che è la koiné, la vita, l’apostolato, la missione divina di Nostro Signore». E dove, del resto, gli stessi alunni sono presentati a loro volta con una onomastica sottratta a sette pittrici e nove pittori, identificati non per il loro celebre soprannome ma per cognome, come da registrazione scolastica.
E dove il tono di una piacevolissima leggerezza lo puoi ben cogliere anche dove spuntano argomenti tecnici, affrontati come nel caso della metrica greca calibrata tra Archiloco e Modugno; o il rapporto tra cultura colta e popolare attraverso le reinvenzioni di De André che in La guerra di Piero «trasforma l’idillio in senso tragico», quel De Andrè da servire nella ricerca per l’esame nelle sue «fonti e ispirazioni letterarie» per l’album Spoon River.
Una piena, vitale vivacità che cede però anche all’emozione e alla malinconia. Ciò che accade attraverso il risucchio memoriale. Ed ecco allora squarci di paesaggio milanese, ma soprattutto figure che ti restano impresse. Sono quelle intermittenze del cuore che ridisegnano ora l’ex professore di francese Léonard Bataille; ora il racconto autobiografico dei suoi incontri con De André. E ora l’Alda, la Merini: colei che «ha preso il volo, attraversata dalla poesia», che in lei ha trovato piena assonanza tra parole e cuore. Un quadro nel quale un autore «si fa carne»; e nel quale ci si muove tra ricordo ed esegesi, vissuta però dall’interno dei suoi incontri con Alda, concluso da versi di «un inedito che ho solo io».
Una seconda svolta, si diceva. Ed è da lì che viene il successivo Tra il silenzio e il tuono, a sua volta, come il precedente, di difficile definizione di genere: quello, tra romanzo o racconti o romanzo-conversazione; questo, un autentico dialogo-«rappresentatione di anima, et di corpo» che chiamare romanzo epistolare suonerebbe sminuente pur se è la vita d’un Roberto narrata in forma di lettere a un «nonno». Una narrazione nella quale, al piano della corporeità che rivive gli accadimenti del passato nel momento del loro stesso accadere, fanno da contrappunto le lettere «sapienziali» di un «nonno-anima» indirizzate «a personaggi immaginari e ad amici veri». E dove, a mediare tra corpo e anima c’è la «parola» che, «alta, bassa, stridente, suasiva, melliflua, consolatoria, ostile, amica, ammiccante, estatica o disperata è unica, sempre».
Cui segue
L’orso bianco
era nero (titolo ossimorico, consueto da
Viaggi del tempo immobile
del 1996): «storia e leggenda della
parola
», attraverso le «sudate carte» tratte fuori da block notes e cassettini. Un laboratorio-narrazione a ribadire i «miei ottant’anni d’amore per la parola». Da condividere: «per farvi innamorare della parola».
Per un mese a 9,90 euro. Poesie, teatro e televisione: un esploratore delle parole
Dal 12 agosto (e per un mese) si potrà acquistare in edicola insieme al «Corriere della Sera» il libro di Roberto Vecchioni Lezioni di volo e di atterraggio al prezzo di e 9,90 (più il costo del quotidiano). Uscì nel 2020 per Einaudi e ora viene riproposto dal «Corriere» in collaborazione con la casa editrice. Oltre a Lezioni di volo e di atterraggio, presso Einaudi Vecchioni ha pubblicato Viaggi del tempo immobile (1996), Le parole non le portano le cicogne (2000), Parole e canzoni (2002), Il libraio di Selinunte (2004), Diario di un gatto con gli stivali (2006), Scacco a Dio (2009), Il mercante di luce (2014), La vita che si ama. Storie di felicità (2016), Tra il silenzio e il tuono (2024). Per Frassinelli è uscito invece il libro di poesie Di sogni e d’amore (2007); per Bompiani Canzoni (2021), un’autoantologia dei testi più significativi di cinquant’anni di carriera. Il suo libro più recente è L’orso bianco era nero (Piemme, 2025). Sua è la traduzione del Prometeo incatenato di Eschilo andata in scena a Siracusa nel 2023. È ospite fisso di In altre parole, trasmissione condotta da Massimo Gramellini su La7.
11 agosto 2025 (modifica il 11 agosto 2025 | 21:20)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
11 agosto 2025 (modifica il 11 agosto 2025 | 21:20)
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