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Nei kibbutz di fronte alla striscia di Gaza, da luoghi di fuga a rifugio

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KIBBUTZ NIR ITZHAK – Ci sono quelli che credono nella guerra e vorrebbero l’espulsione totale di tutti i palestinesi di Gaza, ma anche coloro che nonostante tutto non hanno perso le idee pacifiste, esigono l’immediata fine dei combattimenti e la nascita di uno Stato arabo parallelo a Israele nei territori occupati. «Noi ebrei siamo stati sterminati nell’Olocausto nazista e non possiamo sopportare che i nostri soldati possano uccidere così tanti civili palestinesi come sta avvenendo a Gaza», dicono mentre si odono di continuo i bombardamenti israeliani su Khan Yunis e Rafah, nuvole di fumo nero appena dietro i campi coltivati e gli ultimi filari d’alberi vicino ai fili spinati sul perimetro della Striscia. Il confine è a meno di 3 chilometri. Speranze di rinascita, ma anche incertezze sul futuro, paure immanenti, incubi carichi di dolore di fronte ai piccoli memoriali sui luoghi dei massacri e le fotografie dei morti e dei rapiti da Hamas poco meno di due anni fa. 

Siamo tornati nei kibbutz devastati dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 con una domanda precisa: e adesso che fare? Voi che eravate per lo più della sinistra favorevole al compromesso con i palestinesi, lo siete ancora? Il Paese intero negli ultimi mesi si è spostato notevolmente a destra, i sondaggi vedono crescere il numero degli israeliani che tutto sommato sostengono sia la guerra contro l’Iran che la scelta di Netanyahu di «azzerare Hamas». A Nir Oz ancora nessuno vuole tornare. E’ il kibbutz più devastato: su 400 membri, 117 sono stati uccisi o rapiti. Pochi giorni fa hanno accolto Netanyahu con fischi e proteste. Lo accusano di non fare abbastanza per liberare gli ostaggi. Dal primo di luglio il governo ha tagliato i sussidi per gli sfollati, una mossa per spingerli a tornare alle loro abitazioni. «Abbiamo collettivamente deciso di non ricostruire nulla sino a che l’ultimo israeliano nelle mani di Hamas non sarà tornato a casa», dice Larry Butler, che dai primissimi giorni dopo il massacro accompagna chi visita il kibbutz a vedere le case devastate. L’altra mattina alcune centinaia di abitanti degli insediamenti lungo la Striscia di Gaza si sono ritrovati a Kibbutz Alumim per discutere il programma di ricostruzione da parte di Tkuma, l’ufficio governativo incaricato di finanziarlo. Milioni di shequel verranno stanziati entro il 2026 per rilanciare la ripresa demografica e l’economia.

Nel vicino Kibbutz Nir Itzhak la normalizzazione pare trionfare. «Qui c’è stato un fenomeno paradossale: tanti israeliani sono venuti a chiedere casa per sfuggire ai missili iraniani in giugno. Così, se due anni fa eravamo un luogo di paura, adesso siamo diventati un rifugio che offre sicurezza>, dice il 49enne Daniel Lanternar, che è di origini italiane. Secondo il 56enne Zamir Haimi, che dirige i progetti agricoli, negli ultimi mesi sono tornati l’85 per cento dei membri originari e adesso ci sono in più parecchi ospiti esterni. Mentre parla i rombi dei bombardamenti sui palestinesi si fanno più acuti, la terra trema. E la domanda viene spontanea: ma lei non prova nulla per i bambini, per i civili massacrati a decine ogni giorno dal vostro esercito a pochi metri da voi? «Non sono un estremista e non odio gli arabi. Conosco personalmente tanti nostri ex lavoratori di Gaza, che adesso mi mandano messaggi su TikTok. E credo ancora che occorra tornare ai dialoghi di pace. Non dobbiamo lasciare che la logica della guerra totale voluta dal governo di estrema destra trionfi. Gli ebrei non possono deportare in massa un altro popolo. E il 7 ottobre poteva essere evitato, se avessimo avuto una politica diversa e soprattutto se Netanyahu non avesse lasciato che Hamas crescesse per indebolire l’Olp e i palestinesi favorevoli al compromesso», dice con aria decisa. Zamir però non è affatto un idealista nostalgico della pace. «Oggi la situazione è complicatissima. In Cisgiordania le colonie sono dovunque, hanno soffocato le terre che dovevano essere dello Stato palestinese: i due opposti estremismi israeliano e palestinese si alimentano a vicenda. Sinceramente non ho soluzioni pronte», aggiunge.

Nella grande sala da pranzo comunitaria del Kibbutz ci sono le foto dei morti e dei rapiti. La gente ha deposto dei fiori. Un gruppo di ragazzi tra i 17 e 23 anni annuisce quando un di loro, Din, dice un poco sbruffone: .
Secondo Shmulik Cohen, un 72enne figlio di scampati all’Olocausto: . Per lui la morale è ragionevole: .

12 luglio 2025 ( modifica il 12 luglio 2025 | 08:10)

12 luglio 2025 ( modifica il 12 luglio 2025 | 08:10)

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