
«Questa bulimia commerciale che vorrebbe i negozi aperti h24 è una contraddizione rispetto alle lamentele sulla crisi delle vendite e sulla classe media che non compra. Ma alla fine il risultato è che i diritti dei lavoratori, anzi in questo caso delle lavoratrici, vengono meno».
A parlare è la scrittrice Simona Baldanzi, che sin da suo esordio letterario con Figlia di una vestaglia blu si occupa dei diritti dei lavoratori, dei meno tutelati, a partire da operaie e minatori. In passato ha anche lavorato per Cgil e è stata al fianco della battaglia (persa) delle dipendenti dell’outlet di Barberino di Mugello — il paese in cui è cresciuta e ha vissuto a lungo — per cercare di impedire le domeniche al lavoro.
Che effetto le fa il Ferragosto aperto ai Gigli? Dal centro commerciale spiegano che è una scelta «in linea con le evoluzioni delle abitudini di visita della clientela».
«Più che un’esigenza commerciale, rischia di esserci un’esigenza sociale e climatica. Le persone che non hanno i soldi per andare in ferie, con i circoli sempre più chiusi a causa della crisi del volontariato, con le città senza verde, dove vanno? Al centro commerciale dove c’è l’aria condizionata. Il che non significa che poi comprino davvero. Il caso di Carrefour che voleva aprire 7 giorni su 7 e h24 e che, sulla base dei risultati economici, e che ora va nella direzione opposta, mi sembra una spia. Gli stessi Gigli hanno ridotto l’orario di apertura (in passato i ristoranti chiudevano alle 23, ora alle 22 chiudono tutte le attività, ndr)».
Se queste attività decidono di spalmare le aperture avranno pur fatto i conti.
«Premetto che ho l’impressione che stiamo tirando la corda e le conseguenze le vediamo. A partire dai recenti black-out di Firenze che mi fanno chiedere se abbia senso tenere aperti, e con le porte spalancate, i negozi del centro nelle ore più calde. Ma, per rispondere alla domanda, la sostenibilità delle aperture domenicali e festive è legata al fatto che lavoratori e lavoratrici ormai costano tanto quanto nei giorni feriali, al massimo poco di più. Una volta, un festivo costava molto all’azienda, ci pensavano tre volte».
Quindi il punto è sempre la riduzione dei diritti?
«Per forza: al di là dell’aspetto salariale, il più importante ma non l’unico, non ci si cura più di dare a chi lavora la possibilità di conciliare lavoro e tempo privato. Anzi, il lavoro viene trasformato in gioco: anni fa ho seguito il caso di Mondo Convenienza, facevano classifiche settimanali del miglior venditore, che veniva poi premiato con una domenica libera: il diritto al riposo che diventa lotteria».
Nei centri commerciali il lavoro è quasi sempre al femminile.
«Sì. e parliamo di donne precarie, ricattabili, povere, che non sanno più come crescere i figli. L’emancipazione è stata dimenticata».
Lei fu a fianco delle donne contro le aperture domenicali all’outlet di Barberino.
«Una battaglia persa in partenza, viste le liberalizzazioni di Monti. Ma resa più difficile dalla polverizzazione dei contratti in decine di tipologie, negozi diversi, luoghi di incontro assenti. Tutto sembra fatto apposta per dividere».
E i clienti non capiscono la portata della loro presenza durante le festività?
«Temo che non si distinguano più le esigenze primarie, come un pronto soccorso, da quelle che non lo sono, lo shopping. Eppure, nonostante le ingiustizie capitino a tutti, molti sembrano non accorgersi del problema».
E lo sciopero dei sindacati? Cosa ne pensa? Come andrà?
«Non lo so: di certo, più piccolo è il negozio, più difficile è avere spazi di libertà. Però penso anche a chi quel giorno non avrebbe saputo come fare magari ad accudire i figli, se non pagando una baby sitter a peso d’oro. Per quella donna, anche se dovesse farlo da sola, lo scioperò le salverà il posto di lavoro».
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7 agosto 2025
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