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Sphia Loren era una bambina di 9 anni quando dal balcone della casa dei parenti vide un carrarmato tedesco e uno scugnizzo che gli tirava contro una bottiglia piena di benzina: le fiamme, l’inseguimento, l’epilogo a cui non volle assistere rientrando e nascondendo la testa sotto le coperte. Scene dalle Quattro Giornate, l’insurrezione che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 vide Napoli ribellarsi ai nazisti che la occupavano e aprire la strada alla liberazione americana.
Sophia era piccola e si limitò a fare da spettatrice, ma le donne che popolarono quella sommossa furono tante e coraggiose. Lenuccia Cerasuolo aveva 23 anni e decise di combattere al fianco del padre, anche a costo di sfidarlo, «perché gli voleva troppo bene». Raffaela De Martino aveva appena 17 anni e un lavoro da impiegata quando si mise ad aiutare uno dei capi, Federico Zvab, a organizzare le azioni: nascondeva sotto i vestiti messaggi e armi, li faceva passare ai posti di blocco dei nazisti con una faccia tosta che non li insospettiva. Anna Marciano aveva 9 anni, la stessa età di Sophia, e salvò una trentina di soldati sbandati avvisandoli di scappare quando arrivavano i tedeschi. La signora Emma evitò la deportazione al marito trasformandolo in una mummia avvolgendolo nelle strisce ricavate da un lenzuolo per spaventare i nemici con una malattia terribile e contagiosa. Le monache di Materdei accolsero nel loro istituto i ribelli, che usarono la terrazza bassa e lunga per bloccare i convogli lungo un passaggio necessario.
Le loro storie sono raccontate da Pietro Gargano in un linguaggio che mescola l’italiano e il napoletano, con un gioco che gli intellettuali della città sono soliti limitare al parlato ma lui mette nero su bianco. Il suo libro Napule nun t’ ’o scurdà (Magmata, pagine 181, euro 15) prende il titolo, l’invito a «non dimenticare», da una canzone in dialetto di Sergio Bruni e Salvatore Palomba. Ed è sin dall’inizio che incalza il ritmo, dalla descrizione di via Tarsia, «una strada ch’era pur in discesa ma ntruppecosa e stancante, quasi fosse tutta salita». Gargano, cronista di razza, è una delle memorie storiche del giornalismo napoletano e si diverte a scavare nel passato e nel lessico. Il racconto che fa delle Quattro Giornate non ha le pretese del saggio, è una cronaca minuto per minuto, affollata di personaggi e di frammenti, che conferma la grande partecipazione e la trasversalità di una forma di resistenza che coinvolse nobili e popolani, borghesi e artigiani.
C’è Carluccio ’o scic, così definito per le pretese di eleganza, che perde il lavoro di cuoco perché non vuole la tessera fascista e si mette a combattere. C’è il professore Parente che col radiologo Aldo Piergrossi sposta a mano i tram in modo da creare una barricata. E c’è Gennarino Capuozzo, 13 anni, che ha imparato insulti in tedesco e si addestra, lanciando sassi, al tiro delle bombe a mano: finisce male, con un buco in gola, come per altri scugnizzi e altri eroi di quelle Giornate che Gargano racconta, l’una dopo l’altra, per non dimenticare.
18 dicembre 2024 (modifica il 18 dicembre 2024 | 08:53)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
18 dicembre 2024 (modifica il 18 dicembre 2024 | 08:53)
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