Mussolini, 3 gennaio 1925: 100 anni fa il discorso che dà inizio alla dittatura. «L’Italia vuole la pace, la tranquillità e la calma»

di Antonio Carioti Il 3 gennaio 1925 il capo del governo interviene alla Camera e si assume la responsabilità storica di quanto è avvenuto. Comincia di fatto la dittatura

Questo post è stato originariamente pubblicato su questo sito

//?#

Un fragoroso applauso accoglie Benito Mussolini mentre fa il suo ingresso nell’aula della Camera, il 3 gennaio 1925. Ma il presidente del Consiglio, riferisce il «Corriere della Sera» nella sua cronaca, «appare piuttosto scuro e accigliato in volto». In effetti ha attraversato mesi difficili, in cui il suo stesso potere è stato messo in discussione per via della crisi provocata dal
delitto Matteotti.

Il leader socialista è stato rapito e assassinato il 10 giugno 1924. E gli inquirenti non solo hanno catturato in breve tempo quasi tutti gli esecutori del crimine, compreso il loro capo Amerigo Dumini, ma hanno individuato mandanti vicinissimi a Mussolini: Cesare Rossi, suo capo ufficio stampa; Giovanni Marinelli, amministratore del Partito nazionale fascista (Pnf); Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni (quest’ultimo, divenuto antifascista, morirà trucidato dai nazisti alle Fosse Ardeatine nel 1944).

L’aula di Montecitorio è tuttavia un uditorio fidato per il capo del governo. Alle elezioni politiche del 6 aprile 1924, anche per via delle irregolarità e delle violenze denunciate da Giacomo Matteotti, il cosiddetto «listone», composto di fascisti e fiancheggiatori, ha ottenuto una maggioranza schiacciante. Per giunta le opposizioni – i democratici di Giovanni Amendola, i popolari di don Luigi Sturzo, i socialisti di vario orientamento – hanno attuato la «secessione dell’Aventino», cioè si sono ritirate dai lavori della Camera nell’attesa (vana) di una mossa risolutiva del re Vittorio Emanuele III. Quindi il 3 gennaio 1925 in aula ci sono solo fascisti o filofascisti, a parte uno sparuto gruppo di liberali che fanno capo a Giovanni Giolitti e Vittorio Emanuele Orlando.

La crisi è giunta al culmine il 27 dicembre 1924, quando il quotidiano «Il Mondo», vicino ad Amendola, ha pubblicato un memoriale di autodifesa nel quale Cesare Rossi accusava Mussolini di avere promosso la creazione della cosiddetta Ceka (dal nome della polizia segreta bolscevica): il gruppo dei sicari capitanati da Dumini che hanno aggredito diversi avversari del fascismo e da ultimo hanno ucciso Matteotti.

Poco dopo, il 31 dicembre, un gruppo di 33 consoli della Milizia, il corpo armato nel quale sono stati assorbiti gli squadristi neri, si è fatto ricevere da Mussolini. Guidati da Enzo Galbiati e Aldo Tarabella, i suoi fedelissimi lo hanno esortato a colpire duramente l’opposizione, minacciando sfracelli in caso contrario. «Bisogna fucilare i capi dell’Aventino!», gli hanno gridato. Ora il presidente del Consiglio ha deciso di prendere in mano la situazione.

Di fronte ai deputati Mussolini, «con voce secca e tagliente», legge l’articolo 47 dello Statuto albertino, secondo il quale la Camera può mettere sotto accusa i ministri del re. E domanda se qualcuno abbia intenzione di usare questa norma contro di lui. L’aula risponde acclamandolo.

Poi Mussolini nega di aver mai organizzato la Ceka. Essa, afferma, «non è mai esistita». Attacca quindi l’Aventino come «secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria». E se la prende con la stampa, che con una «campagna immonda e miserabile» sul caso Matteotti ha descritto il fascismo come «un’orda di barbari accampata nella nazione». Segue una rivendicazione tracotante: «Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale storica di tutto quanto è avvenuto».

Adesso l’oratore appare «rosso ed eccitatissimo». Grida: «Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana
, a me la colpa!

Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, ebbene io sono il capo e il responsabile di quest’associazione a delinquere!».

Dopo aver dato soddisfazione così ai fascisti più inquieti ed estremisti, Mussolini assume le vesti di tutore delle istituzioni. La «sedizione dell’Aventino», proclama, ha uno «sfondo repubblicano», cioè si propone di sovvertire l’ordinamento monarchico dello Stato. La Camera risponde urlando: «Viva il re!». Ma il governo, prosegue l’oratore, «è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell’Aventino».

Qui Mussolini gioca la sua carta migliore: si presenta come restauratore dell’ordine. Sa che la parte più consistente e meno politicizzata della società è stanca di sommovimenti. Sa che la classe dirigente teme un ritorno ai tumulti del «biennio rosso» 1919-20. Sa di avere le spalle coperte dalla monarchia e dalla Chiesa. La sua conclusione è esplicita: «L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi questa calma, questa tranquillità laboriosa gliela daremo con l’amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario».

Il discorso del 3 gennaio è considerato dagli studiosi il momento di passaggio alla dittatura piena. Subito dopo, il governo si riunisce e approva una serie di provvedimenti liberticidi, per soffocare ogni voce dissenziente nel Paese. Si procede ad arresti, perquisizioni, scioglimenti di organizzazioni e circoli. Mussolini è padrone della situazione, ma la crisi lo ha segnato, tant’è vero che nel febbraio 1925 è colpito da un’ulcera che lo mette fuori combattimento per oltre un mese.

Quanto al delitto Matteotti, il procedimento viene incanalato sui binari più favorevoli al governo, previa amnistia che libera da ogni addebito i mandanti individuati dalla magistratura. Il processo per l’omicidio del leader socialista, trasferito da Roma a Chieti, si conclude il 24 marzo 1926 con pene risibili per gli esecutori del crimine. Tra gli avvocati degli imputati c’è anche il segretario del Pnf, il fascista intransigente Roberto Farinacci, che ne approfitta per tenere un’arringa che assomiglia di più a un comizio. Mussolini non è d’accordo e costringe Farinacci alle dimissioni. Per il capo del governo, meno si riparla di Matteotti e meglio è.

3 gennaio 2025 (modifica il 3 gennaio 2025 | 11:21)

3 gennaio 2025 (modifica il 3 gennaio 2025 | 11:21)