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Morto Mimmo Jodice: così ha raccontato Napoli, città metafisica

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L’ultima mostra risale alla primavera del 2025. Un omaggio allestito nelle sale del Castel Nuovo di Napoli, voluto dal sindaco Gaetano Manfredi. Un’occasione per celebrare uno tra gli ultimi maestri della fotografia del Novecento, un secolo crudele e bellissimo. Un tributo dovuto a un grande artista che, con ostinata determinazione, aveva scelto di non abbandonare mai la sua città. Come Lucio Amelio e Roberto De Simone, Mimmo Jodice aveva deciso di non andare mai via. Certo, aveva viaggiato, fatto reportage, esposto nei musei del mondo. Ma ogni viaggio prevedeva il ritorno. La casa, la famiglia, i riti quotidiani, le pause di riflessione, gli esercizi in una camera oscura pensata come l’officina di un alchimista (donata, con un importante patrimonio di lavori, al Museo di Capodimonte).

Eppure, Jodice ha sempre sentito Napoli come necessità e, insieme, come destino. Qui aveva mosso i primi passi da autodidatta, in un quartiere popolare. Qui aveva iniziato a interrogare volti popolari e architetture monumentali. Qui aveva scoperto statue e reperti archeologici, sedotto dalla bellezza infranta della classicità. Qui aveva incontrato e frequentato alcune tra le voci più significative delle avanguardie del secondo Novecento — da Beuys a Warhol — che gli avevano insegnato a non smettere mai di reinventare i media.

Sorretto dall’idea cara a Ernesto De Martino secondo cui solo se si ha un villaggio nella memoria si può fare un’esperienza cosmopolita, Jodice non ha mai smesso di «guardare» Napoli. L’ha sottratta alla retorica, all’oleografia, alle cronache. Per consegnarci un ritratto inatteso, quasi scandaloso. La sua è una città metafisica, lirica, attonita, spaesata, silente, folgorata in una dilatata stasi, talvolta percorsa da fugaci rivelazioni, fermata in un bianco e nero inconfondibile.

Per Jodice, come aveva confessato a Mario Martone in un documentario, fotografare Napoli è una questione di stati d’animo. Per osservare il paesaggio urbano, si è sottratto alle emergenze dell’attualità, in modo da rendere i luoghi ignoti a se stessi..

È nato così una sorta di film fatto di sequenze che esigono calma, attesa. Un lungometraggio involontario, attraversato da consapevoli rimandi alle assurde e paradossali visioni dipinte da Giorgio de Chirico, sulle cui orme Jodice ha riconosciuto nella meraviglia la mèta ultima dell’arte. L’estasi della visione. Il sortilegio. Lo stupore. La fatalità. La scossa che disarticola il canto delle sirene della quotidianità. Forse, Jodice avrebbe potuto fare proprie le parole di Paul Éluard: «Esiste un altro mondo, ma è in questo».

28 ottobre 2025 (modifica il 28 ottobre 2025 | 22:25)

28 ottobre 2025 (modifica il 28 ottobre 2025 | 22:25)

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