
«Desideriamo suggerire una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico (D.n.a.). Questa struttura presenta caratteristiche innovative di notevole interesse biologico». Cominciava così, con un tono apparentemente dimesso e minimale, il breve articolo, una paginetta scarsa, che avrebbe cambiato per sempre la storia della scienza. Era il numero del 25 aprile 1953 della rivista «Nature» e la firma era quella di James D. Watson, un biochimico statunitense trentacinquenne, e di Francis Crick. Ma dietro quella modestia si nascondeva un dramma scientifico che impegnava i migliori biologi dell’epoca.
La sfida era capire di cosa fossero fatti i geni, le unità fondamentali dell’ereditarietà, nonché dello sviluppo e della vita di tutti gli organismi sulla Terra, nessuno escluso, dalle piante ai vermi agli esseri umani. Si era capito che i geni stavano negli acidi nucleici della cellula, ma quale struttura avevano questi ultimi e come funzionavano? La coppia agguerrita del Cavendish Laboratory di Cambridge doveva anticipare un temuto avversario: il chimico e cristallografo Linus Pauling (doppio Premio Nobel, per la Chimica nel 1954 e per la Pace nel 1962), che aveva descritto la configurazione tridimensionale di alcune proteine nel 1951 ed era sulla buona strada per comprendere anche quella del Dna.
Watson (morto giovedì 6 novembre negli Stati Uniti) e Crick (scomparso nel 2004) unirono spregiudicatezza, fortuna e spirito collaborativo. Ricevettero molte imbeccate dai colleghi, perché la scienza è un’impresa collettiva, non il trionfo di eroi solitari. Watson si era appassionato al tema leggendo il capolavoro di Erwin Schrödinger, Che cos’è la vita, dove il grande fisico anticipava l’idea che un qualche «cristallo» nella cellula permettesse il trasferimento dell’informazione genetica. Dopo la laurea in Zoologia a Chicago e il dottorato all’Università dell’Indiana a Bloomington, Watson aveva avuto un altro grande maestro, di origini italiane, il genetista Salvador Luria, il mago dei fagi, cioè i virus che infettano i batteri.
Ma i due ambiziosi giovanotti del Cavendish, quell’aprile del 1953, poterono irrompere nell’Eagle Pub di Cambridge ad annunciare di avere «scoperto il segreto della vita» anche perché approfittarono della conoscenza anticipata dei lavori, non ancora pubblicati, della grande esperta di diffrazione a raggi x del King’s College di Londra, Rosalind Franklin. Fu decisiva in particolare la celebre Foto 51, un’immagine a diffrazione, dalla quale si poteva evincere in effetti la struttura attorcigliata a doppia elica del Dna. Watson ci aggiunse la comprensione della complementarità delle due eliche e dell’appaiamento delle basi azotate: adenina con timina e citosina con guanina, tenute insieme da ponti idrogeno. Così era fatta la straordinaria molecola che da quasi 4 miliardi di anni rimane stabile, si autoreplica e al contempo accumula mutazioni. Il modello era completo, con tanto di versione didattica artigianale fatta con piastre di cartone e barre di metallo.
Franklin è citata fra i ringraziamenti nell’articolo del 1953, insieme al suo supervisore Maurice Wilkins, che aveva incontrato Watson alla Stazione Zoologica di Napoli nel 1951 e che condividerà con lui e Crick il Premio Nobel per la Medicina nel 1962. Era stato proprio Wilkins a passare a Watson e Crick le immagini fatidiche di Rosalind Franklin, senza il suo permesso. Lei era morta di tumore a 37 anni nel 1958 e, al di là delle accuse per averle sottratto informazioni cruciali senza un adeguato riconoscimento (gli storici concordano che senza le sue immagini non sarebbe stato possibile per Watson e Crick determinare la struttura corretta del Dna così velocemente), Watson peggiorerà la propria situazione dedicando alla collega, in libri e interviste successive, parole molto irrispettose e scorrette.
Nei suoi 97 anni di vita, quelle contro Franklin non furono certo le uniche affermazioni sconvenienti di Watson, che alla fine degli anni Ottanta sarà anche tra i promotori del Progetto Genoma Umano. Non gli dispiaceva l’eugenetica e in merito alle presunte differenze biologiche tra le popolazioni umane (che lui chiamava «razze») si lasciò andare a sciocchezze come quella secondo cui le persone di colore sarebbero meno intelligenti dei bianchi e più inclini alla libido. A causa delle posizioni razziste e maschiliste, ogni volta maldestramente ritrattate, fu sospeso per un periodo dal Cold Spring Harbor Laboratory dove lavorò per decenni e nel 2019 gli furono revocate tutte le onorificenze. Ultimamente si sentiva discriminato per le sue idee e in cerca di soldi vendette anche la medaglia del Nobel, che poi il compratore, un miliardario russo, gli restituì. Per chi fosse interessato ad analizzare il genoma di Watson, è disponibile liberamente online, ma difficilmente vi si potranno leggere i recessi della sua mente.
8 novembre 2025 (modifica il 8 novembre 2025 | 00:22)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 novembre 2025 (modifica il 8 novembre 2025 | 00:22)
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