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Montecitorio, l’Aula mezza vuota si riempie solo per il voto. Nel giorno delle seconde linee c’è chi parla dell’Autosole

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Giornata fiacca a Montecitorio, spalti mezzi vuoti da partitella di fine campionato, quando tutto è già deciso. Si riempiono solo al momento del voto, per il cinque a zero scontato, tutte le mozioni delle opposizioni bocciate nell’arco di 5 minuti, si salva solo quella del governo, che ha deciso di non presentarla proprio, così, tanto per non perdere tempo a smussare il testo e a litigare tra loro. Eppure si discuteva del riarmo, di quanti soldi in più bisogna spendere per la Difesa, e di come difendere il welfare. Ma soprattutto è prevalsa la ferma intenzione di non farsi male, con le Regionali alle porte come Annibale, che lì chi perde fa harakiri.

Divisi zitti zitti

E quindi sì che ci sono le differenze, con la Lega che fa partita a sé, con i Cinque Stelle e l’Alleanza Verdi e Sinistra che non la pensano affatto come il Pd, e con il Pd che un po’ la pensa in un modo e un po’ la pensa nell’altro, ma tutti stavolta senza strillare.

Verrebbe da dire: sì, va bene,e allora? Bisognava aspettare lo stanco dibattito alla Camera di ieri per scoprire che i partiti di questo nostro Paese sono sbrindellati sulla politica estera, sia tra schieramenti sia proprio dentro gli schieramenti? Che poi non significa non avere una politica estera, che comunque quella, piaccia o non piaccia, la fanno Giorgia Meloni e Antonio Tajani, ma la confusione in Parlamento è grande.

Ecco, si comincia, ma prima si commemora lo scrittore Stefano Benni, e sono più gli oratori che lo ricordano che i deputati che ascoltano. Banchi del governo che sarebbero completamente deserti, se non fosse per il sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago, che con voce pacata e quasi sommessa ricorda la posizione dell’esecutivo favorevole al riarmo, per poi concludere, come se dicesse ah, a proposito: siamo per il no a tutte le mozioni.

D’accordo, uno dice, adesso sì che comincia la bagarre. E invece no, manco per niente. Ognuno recita il suo compitino, ribadendo l’incrollabile nettezza delle proprie convinzioni, ma stando ben attento a non pestare i piedi agli alleati.

Lega prudente

Si ribella un po’ Ettore Rosato, di Azione, che dice che, invece di perdere tempo, sarebbe stato meglio riunire la capigruppo, per prendere una posizione comune dopo l’attacco di Putin alla Polonia. Nessuna nostalgia per le risse d’Aula, ma non si battibecca nemmeno tra i banchi di maggioranza e quelli di opposizione. A rianimare il clima ci riesce, per un breve minuto, il Cinque Stelle Arnaldo Lomuti, che annuncia che sta partendo per Catania per raggiungere la Global Flotilla diretta a Gaza, e incassa l’applauso.

Un po’ di soddisfazione la dà Simone Billi, della Lega, con un esordio dove pare Guido Crosetto, tanto forte è il suo incrollabile atlantismo e l’accordo con la linea europea del riarmo. Viene da dire, accidenti, non ci abbiamo capito niente, non è vero che la Lega mette i bastoni tra le ruote a Tajani. Ma subito dopo si scaglia contro la «baronessa» Ursula von der Leyen e Bruxelles che se ne fa un baffo dei veri bisogni dell’Italia. E avanti così, dopo aver azzeccato una zampata contro Massimo D’Alema alla corte di Xi Jinping, con cerchio e botte, intercalando almeno una decina di volte con «caro presidente Mulè», che guida l’Aula, prima di celebrare l’Autostrada del Sole, che ha unito Nord e Sud come un «Ponte», e chi vuole capire capisca. Il dem Stefano Graziano ha gioco facile a rinfacciargli le sue ambiguità e a ricordargli che è per causa loro se la maggioranza non presenta una mozione. Però, cavolo, da che pulpito, tenendo conto che nemmeno il Campo largo, o come si chiama, da poco rinsaldato con gli accordi regionali, non è stato in grado di presentare uno straccio di documento comune, anzi, non ci ha nemmeno provato per non combinare guai.

Leader alla larga

Insomma, non pare un caso se i leader, in altre faccende affaccendati, si sono guardati bene dal farsi vedere in Aula. E pure Paola Maria Chiesa, che aveva il compito di dire l’ultima parola per Fratelli d’Italia, pur difendendo completamente la linea di Giorgia Meloni, è stata ben attenta a non alzare il tono della polemica, niente battute acide, nessuna ricerca di applausi.
Anche Giorgio Mulè, presidente di turno dell’Aula, ha avuto un pomeriggio di completo riposo. Quasi tutti hanno rispettato i tempi assegnati, chi ha sforato è stato lesto a farla finita dopo il primo richiamo, all’unico che ha provato a tirarla appena un po’ per le lunghe è stato spento il microfono, e si è guardato bene dal protestare.

Poi i cinque voti in successione, rapidi come un cambio di gomme in formula 1, tutto fatto, sipario.


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11 settembre 2025

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