
TEL AVIV – Non ha ucciso Khaled Meshal, l’ultimo dei numeri uno. Non ha decapitato Hamas, o quel che ne resta. Non ha più un tavolo per negoziare il ritorno degli ostaggi: «Per loro, ormai non c’è speranza», li seppellisce il governo del Qatar. Non ha più un amico nel Golfo, almeno all’apparenza: dagli Emirati al re di Giordania, dai sauditi agli egiziani, tutti si stanno precipitando alla corte dell’emiro di Doha e concordano, sì, che «Netanyahu a questo punto va consegnato alla Corte penale internazionale». Non è finita in gloria e a Tel Aviv, nei corridoi della Difesa, s’avverte il malumore: i generali dell’Israel Air Force avevano espresso qualche dubbio non tanto sull’opportunità, quanto sulla riuscita del blitz. «Speravamo che andasse meglio», dice un anonimo sherpa, parlando con la tv israeliana. «Siamo pessimisti — aggiungono altre due fonti militari —, al momento non ci sono indicazioni che gli obbiettivi principali siano stati eliminati». Traduzione: il raid qatarino non è andato come a Teheran, in Siria, in Libano e nemmeno mille volte a Gaza. Unica consolazione: «Siamo riusciti a incutere paura nei cuori dei leader politici di Hamas».
I cellulari dei terroristi colpiti suonano a vuoto, qualunque cosa significhi. Sei capi supremi sono stati comunque ammazzati, chiunque essi siano. E non si dimentichi che per ufficializzare la morte d’Ismail Haniyeh, ucciso nel luglio ’24 in Iran e sepolto poco lontano dal villino di Doha, gli israeliani impiegarono cinque mesi. Vai a sapere. Bibi Netanyahu ammette a denti stretti che non è stata una passeggiata e va a intitolare la bella camminata di Bat Yam, una breve cerimonia per scoprire la targa: si chiamerà «Lungomare Donald Trump», in onore d’uno dei pochi amici al mondo che gli restano (e che però fa mostra d’essersi arrabbiato parecchio). Il premier ha l’America come stella polare, fa finta che tutto vada bene, spiega che allo Yemen degli Houthi sta riservando lo stesso trattamento ricevuto dal Qatar per Hamas. E poco importa che l’emiro, fino a ieri, fosse una specie di socio in affari: «Che cosa fece l’America sulla scia dell’11 settembre? — chiede retorico Netanyahu — Promise di dare la caccia ai terroristi che avevano commesso quel massacro, ovunque si trovassero. E approvò anche una risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, due settimane dopo, che diceva come i governi non potessero dare rifugio ai terroristi». Doha come Kabul… «Abbiamo fatto esattamente quel che fece l’America, quando inseguì i terroristi di Al Qaeda in Afghanistan, uccidendo Osama Bin Laden in Pakistan». The Day After, è il giorno delle citazioni storiche. O cinematografiche: «Penso a che cos’è successo a Monaco nel 1972 — dice l’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon —. Dopo la strage delle Olimpiadi, ci vollero anni per arrivare a loro. Ma li abbiamo raggiunti tutti. Ebbene, accadrà lo stesso: li staneremo ovunque, e pagheranno il prezzo».
Il prezzo politico, per Netanyahu è un piccolo saldo. Pochissimi in Israele gli contestano d’essere un esportatore di guerra. Molti gli rinfacciano d’esportarla male. E non sono serviti granché i meticolosi preparativi che hanno preceduto l’operazione. L’Iaf l’aveva pianificata già dall’inizio dell’anno, spiegano i media israeliani, ma c’è stata un’accelerazione quando s’è capito che Hamas respingeva qualsiasi proposta d’accordo. Anche la data non doveva essere il 9 settembre: Bibi aveva firmato l’ordine già un mese fa, optando poi per l’occupazione militare di Gaza City. Volano un po’ di stracci.
Qualche accusa al Mossad, che aveva segnalato la presenza di Meshal, sì, ma non ha capito che la riunione di Hamas si sarebbe tenuta in una stanza vicina: l’errore che avrebbe salvato il gran capo. Qualche rimostranza arriva pure dai ministri che seguono il dossier degli ostaggi: per prudenza, Netanyahu li ha tagliati fuori dalla war room, ammettendo solo il responsabile della Difesa, Israel Katz, e l’incaricato speciale Ron Dermer. La segretezza è stata mantenuta al livello più alto: a ogni partecipante, è stato imposto di firmare un impegno alla riservatezza anche per il dopo (troppe volte, i dettagli sono finiti sui giornali ed «è come se il cuoco raccontasse a tutti le sue ricette», esemplifica un ufficiale), tutti i ministri del gabinetto di sicurezza hanno saputo dell’attacco solo dai social. Sono state usate anche armi nuovissime e top secret, rivela il premier qatarino Mohammed Al Thani. «A giugno, avevamo intercettato i missili iraniani». E ora? «Gli israeliani sono un’altra cosa — allarga le braccia —, hanno usato mezzi che i nostri radar non hanno visto».
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11 settembre 2025
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