
Miriam Leone, attrice catanese classe 1985 ed ex Miss Italia, è oggi una delle interpreti più apprezzate del cinema italiano. Dopo numerosi ruoli è tra le protagoniste di Amata, il nuovo film di Elisa Amoruso (qui l’intervista alla regista), nelle sale dal 16 ottobre. La pellicola, ispirata a una storia vera raccontata nell’omonimo libro di Ilaria Bernardini (qui l’intervista alla scrittrice), affronta con due storie incrociate il desiderio di maternità, la perdita, l’adozione e la libertà di scelta.
Quando ha partorito Orlando ha postato su Instagram la frase “Amore infinito”, già sapeva del film?
Ride: «No, non lo sapevo, non lo sapevo.»
Di cosa parla questo film che la vede protagonista con Tecla Insolia e Stefano Accorsi.
«Nel film Amata si contrappongono due storie in montaggio alternato. Racconta di come un figlio possa arrivare in maniera anche non desiderata e di quando magari lo si desidera tantissima ma non arriva. Quello che secondo me è interessante in questo racconto è che mettere al mondo un figlio non significa diventare automaticamente genitori e non metterlo al mondo non significa non essere genitori. Attraverso il percorso che il mio personaggio compie fa per adottare, attraverso un percorso psicologico su se stessa, in qualche modo muore e rinasce. Quando rinasce questa donna, riesce a diventare anche madre. Sentire di non poter avere figli naturali è orribile».
Pensa che la maternità sia sinonimo di felicità?
«Io penso che la felicità passi da percorsi nei quali si cerca di capire che cosa vogliamo veramente. Per cui è molto soggettivo. La nascita e la morte sono dei grandi tabù. Pensare che le donne debbano avere tutto il carico della nascita perché è naturale deve piano piano cambiare perché c’è bisogno di un sostegno della società. C’è bisogno che le donne non siano sole».
Il film è ispirato a una storia vera. Un bimbo a Milano affidato alla Culla della vita della Mangiagalli.
«Credo che sia molto importante diffondere il fatto che ci siano queste Culle per la vita perché invece di sotterrare un bambino o doverlo nascondere da qualche parte perché in quel momento si è nel panico o si è da sole, le ragazze devono sapere che possono utilizzarle in completo anonomato».
E la paternità? Gli uomini siamo un orpello?
«Il peso del mondo finché non si farà tutto completamente in laboratorio perché comunque ci siamo vicini (ride ancora, ndr) è molto sulle spalle delle donne. Però nella genitorialità il personaggio di Stefano Accorsi è molto positivo perché è presente e appoggia la sua donna in maniera concreta. Quando un uomo si prende il 50% della genitorialità allora una donna può non sentirsi solo madre ma può lavorare, avere delle passioni, fare un’ora di yoga, insomma avere una vita oltre il nido materno».
I figli ci cambiano e come?
«Sì, a me Orlando mi ha cambiata. In cosa? Nel dono di amore, ora dono senza pensare di avere nulla in cambio. Sì, l’amore è così, è più importante quello che doniamo, non quello che riceviamo».
C’è un sogno nel cassetto, qualcosa che vorrebbe fare che ancora non ha fatto?
«Sì, ma sono troppo scaramantica per dirglielo».
15 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
15 ottobre 2025
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