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Miliardi di stelle marine sono morte in America. Ora gli scienziati hanno scovato il «killer»

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Che aspetto ha un cimitero subacqueo? Preparatevi all’immersione: per scoprire la risposta, basta vedere le coste del Pacifico nord-orientale, dalle Isole Aleutine in Alaska fino alla Bassa California settentrionale in Messico. 

Qui, fino a grandi profondità, i fondali alternano foreste rocciose di alghe kelp a piane sabbiose e fangose: un mosaico di habitat in cui vivono alcuni degli animali più spettacolari, quali le stelle marine girasole (Pycnopodia helianthoides), grandi quanto una ruota di bicicletta e con 24 braccia. Dal 2013, però, una malattia misteriosa – denominata SSWD, sindrome da deperimento della stella marina – ha trasformato circa 6 miliardi di tali esemplari in una poltiglia informe. L’ecatombe potrebbe avere le ore contate: i ricercatori hanno identificato e descritto il colpevole, un ceppo poco noto del batterio Vibrio pectenicida, FHCF-3, in uno studio appena pubblicato su Nature Ecology & Evolution.

Una popolazione a rischio

Si stima che, a causa di tale patogeno, in poco più di un decennio sia scomparso il 90 per cento della popolazione globale di P.  helianthoidesL’IUCN classifica la specie come «in pericolo critico di estinzione». L’infezione da SSWD inizia con lesioni esterne, prosegue con la perdita e la deformazione degli arti e finisce per trasformare l’animale – in pochissimo tempo – in una pasta bianca e melmosa. Per anni è stato quasi impossibile distinguerla da altre cause di morte con sintomi analoghi come anossia, variazioni di salinità o calore estremo. La svolta è arrivata quando le biologhe Melanie Prentice e Alyssa Gehman dell’Hakai Institute, insieme a università e istituzioni di ricerca internazionali, hanno avuto l’intuizione di analizzare il fluido celomatico delle stelle marine, un liquido simile al sangue, invece degli usuali campioni di tessuto.

Il ruolo del cambiamento climatico

La scomparsa della stella marina girasole sta avendo ripercussioni tangibili sugli ecosistemi. Questi predatori tengono sotto controllo le popolazioni di ricci di mare che, in assenza di regolazione, proliferano e radono al suolo le foreste di kelp, privandole così di biodiversità. Il danno non è solo ecologico: pesca e turismo hanno perso milioni di dollari, insieme a servizi naturali fondamentali come il filtraggio dell’acqua, la protezione delle coste e la cattura di carbonio. 

Il cambiamento climatico potrebbe aver favorito la diffusione del patogeno, poiché i Vibrio prosperano in acque calde, soprattutto durante anomalie termiche e variazioni stagionali. Identificare il responsabile dell’ecatombe apre nuove possibilità: sviluppare test genetici rapidi per rilevare il batterio in acqua o negli animali e individuare aree sicure per la reintroduzione. Un obiettivo chiave è trovare individui resistenti e impiegarli in programmi di allevamento conservativo.

Una riproduzione problematica

La sfida è resa più complessa dalla strategia riproduttiva di queste stelle marine, che ricorrono alla fecondazione esterna e dunque necessitano della vicinanza dei conspecifici. La stessa prossimità che favorisce l’incontro dei gameti facilita anche la trasmissione delle malattie. Nonostante ciò, i ricercatori intravedono una speranza, flebile seppur concreta: restituire al mare la vita e la ricchezza del passato. Come un girasole che torna a voltarsi verso il sole, anche questi predatori potrebbero ritrovare la loro luce.

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Riferimenti:
Prentice, M.B., Crandall, G.A., Chan, A.M. et al. Vibrio pectenicida strain FHCF-3 is a causative agent of sea star wasting disease. Nat Ecol Evol (2025). https://doi.org/10.1038/s41559-025-02797-2

20 agosto 2025

20 agosto 2025

Fonte Originale