
«Da anni abbiamo una fabbrica negli Stati Uniti, produciamo lì e posso dire che la produttività che abbiamo in Italia non ha eguali rispetto a quello che vedo negli Usa. Non dobbiamo mica pensare che lì tutte le fabbriche siano come quelle di Tesla», dice Michele Poggipolini, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, leader mondiale nell’ingegneria e nella produzione di parti e sistemi di precisione per l’aerospazio e l’automotive, fornitore certificato per aziende del calibro di Ferrari, Lamborghini, Porsche, McLaren, Mercedes, Leonardo, Safran e Boeing.
Poggipolini fornisce un punto di vista molto particolare rispetto alla questione dazi e alle ripercussioni delle tensioni geopolitiche sulla nostra industria. «Conta soprattutto la tecnologia. Qui abbiamo investito tantissimo negli anni in automazione e robotica per riuscire a essere competitivi. A Bologna con le stesse persone produciamo il triplo di quello che si fa negli Usa. Vale per noi ma anche per tanti altri. In molti settori negli Stati Uniti ci sono fabbriche che per noi a Bologna sono assolutamente antiquate».
Come mai?
«Parlo del nostro settore, quello dell’aerospazio e della difesa. Un comparto dominato da fornitori americani che negli anni sono stati consolidati da fondi di private equity e hanno creato una sorta di dominio anche nel mondo dei sistemi di fissaggio, quello di cui ci occupiamo noi».
Che problemi ci sono?
«C’è un tema soprattutto di capacità produttiva, dell’età del personale e dell’attrattività nei confronti dei giovani. Sono questioni enormi per tutti gli Stati Uniti».
Voi come vi state comportando?
«Noi abbiamo rilevato un’azienda che ha processi produttivi di circa 40 anni fa. Il nostro grande sforzo è trasferire lì il know how, la tecnologia e l’automazione che abbiamo a Bologna».
Il mercato?
«C’è un tema di catena di fornitura che è complesso. La domanda è molto maggiore rispetto all’offerta, esistono grandi opportunità per tante aziende italiane ed europee. Nel nostro settore ci sono tre grandi gruppi da decine di miliardi di fatturato che coprono l’80% del mercato ma c’è uno spazio per produzioni di nicchia e ad alto valore aggiunto».
Perché?
«Tutta la componentistica degli americani ha raggiunto la massima capacità produttiva per i clienti interni. È un effetto del boom dello spazio. Nostri clienti, come Leonardo elicotteri, sono in sofferenza perché i componenti non arrivano più con tempi sostenibili. L’Europa deve accelerare e investire sulla propria capacità produttiva».
Dal vostro punto di vista i dazi sono un problema?
«No, perché per spazio e difesa devi per forza produrre negli Stati Uniti. Chiaro che questa situazione geopolitica con i dazi sta cambiando tutto».
In che modo?
«Cingolani con Leonardo è stato il primo a sviluppare alleanze e joint venture con player europei perché ha capito, prima degli altri, che l’Europa deve ritrovare la sua indipendenza industriale. In queste condizioni è insostenibile continuare a comprare negli Stati Uniti. Leonardo sta realizzando un progetto per riportare qui un miliardo di commesse. Chiaro che il modello che è andato avanti fino al Covid non funziona più».
Una sorta di doppio binario?
«Bisogna essere globali per presidiare i mercati, ma stiamo andando verso un mondo diviso in aree. Anche l’Ue sta investendo e molto sulla difesa, è importante che ci siano ricadute per le nostre industrie».
Come si fa?
«Ci vuole un player leader della filiera, come Leonardo nel nostro caso, e l’opportunità di fare sistema con le istituzioni e coinvolgendo gli istituti di credito».
Questo ritorno al protezionismo non è necessariamente una sciagura?
«È un’opportunità, vale per il nostro settore, ma anche per gli altri. Come in tutti i momenti complicati, dobbiamo vedere gli aspetti positivi cercando di fare uno sforzo culturale in avanti».
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6 agosto 2025
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