
A Palazzo Chigi dicono di non essere sorpresi, che in qualche modo una sparata al rialzo da parte del presidente americano era attesa. La prima valutazione è a livello tecnico, scorre in una triangolazione di contatti che vede coinvolta la nostra rappresentanza a Bruxelles, il gabinetto della von der Leyen, la Farnesina e ovviamente gli uffici di Giorgia Meloni. Quello che ne emerge, a caldo, è che si tratta di una tattica negoziale, volta a mettere sotto pressione l’Unione europea.
Anche se a Bruxelles qualcuno comunque avverte la sensazione di una doccia fredda, la nostra diplomazia invece interpreta la lettera di Trump allo stesso modo anche dopo un esame più approfondito. La stessa Meloni, dopo una serie di contatti, si dice convinta che si tratti di «una pressione per spaventarci, uno strumento negoziale, ma bisogna mantenere la calma e continuare a trattare». Per la premier il rilancio del presidente americano non solo era atteso, forse per sue fonti dirette, ma è anche spiegabile alla luce dei negoziati, e del livello a cui sono arrivati, in entrambi i dossier: quello dei dazi settoriali e quello dei dazi orizzontali.
In ogni caso le stesse sensazioni che la presidente del Consiglio condivide con il suo staff, poco dopo vengono messe nere su bianco in un comunicato di palazzo Chigi, in cui si invita alla prudenza, a non cadere nella trappola di credere sino in fondo al rilancio di Trump: «Il governo italiano continua a seguire con grande attenzione lo sviluppo dei negoziati in corso tra Unione Europea e Stati Uniti, sostenendo pienamente gli sforzi della Commissione europea che verranno intensificati ulteriormente nei prossimi giorni. Confidiamo nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso, atteso che — particolarmente nello scenario attuale — non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Ora è fondamentale rimanere focalizzati sui negoziati, evitando polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa».
Insomma acqua sul fuoco — a differenza di quanto, nella maggioranza, fa la Lega, che accusa «un’Europa a trazione tedesca. No alle ritorsioni, von der Leyen azzeri l’eccesso di burocrazia, vero dazio per le nostre imprese, come l’ideologia green deal» — ma è un atteggiamento che affonda le sue radici in spiegazioni tecniche precise. Racconta chi è a conoscenza del dossier meglio di altri che in questo momento la Ue sta cercando di chiudere in primo luogo un accordo sui dazi settoriali, acciaio e alluminio, attualmente a un insostenibile 50%, e mercato automobilistico, anche qui fermo a un più che penalizzante 25%. Trump non vuole che i suoi negoziatori facciano troppe concessioni, dunque rilancia e minaccia sul piano parallelo ma diverso dei dazi orizzontali, quelli sui quali i suoi stessi uomini sono già vicini a chiudere un accordo non lontano dal 10%.
Insomma la lettera di Trump farebbe parte di un gioco anche abbastanza scoperto, almeno secondo diverse fonti italiane ed europee, e proprio per questo Meloni chiede a tutti di avere sangue freddo e continuare a negoziare. Fra l’altro il confronto in corso fra Washington e Bruxelles prevede al momento che il Dipartimento non aprirà altri dossier settoriali su farmaceutica, semiconduttori, metalli come il rame. Che insomma la platea dei mercati e dei prodotti che andrebbero a scontare un dazio orizzontale non inferiore al 10% non si debba restringere, dopo aver chiuso un accordo quadro.
Sono dinamiche tecniche, dove al momento uno dei grandi cambiamenti reali è il numero di Paesi europei che sta chiedendo alla Commissione di chiudere prima possibile, accettando ovviamente sacrifici che siano ammortizzabili in cambio di stabilità, chiarezza delle regole e capacità di programmazione nel medio e lungo periodo. Su questo le Capitali che hanno fretta sono ormai la maggioranza. E a dispetto della lettera di ieri un accordo potrebbe arrivare anche prima dell’inizio di agosto.
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13 luglio 2025
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