
La descrivono stanca, ma estremamente soddisfatta. Di mattina si divide fra una supervisione a distanza, da palazzo Chigi, delle fasi finali della due giorni di Conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina, e un incontro nel suo studio con il Commissario europeo all’Economia, quel Valdis Dombrovskis che tante volte in passato non è stato tenero con il governo italiano. Ma oggi le relazioni con la Commissione sono diverse dal passato, segnate dal rapporto molto saldo della premier con quella Ursula von der Leyen che non ha mancato l’appuntamento romano, nonostante la mozione di sfiducia in discussione, nelle stesse ore, a Bruxelles.
Ma prima ancora dei dettagli sul dossier trattato con Dombrovskis a palazzo Chigi c’è il tempo di collezionare complimenti per l’organizzazione della Conferenza, filata via liscia con risultati concreti condivisi da tutti gli attori presenti, ma che ha avuto un suggello nella presenza dell’inviato speciale per l’Ucraina, il generale Keith Kellogg, ricostruendo dopo mesi un formato di unità dell’Occidente sul quale Giorgia Meloni lavora in modo costante da mesi e che non ha mai smesso di perseguire. La presenza di Kellogg a Roma, in videocollegamento con la coalizione dei Volenterosi guidata da Francia e Gran Bretagna, è stata il risultato di un lavoro diplomatico che Meloni ha seguito passo dopo passo e soprattutto cercato.
Può essere forse sopravvalutato ma indubbiamente è stato un risultato che fotografa una situazione di maggiore vicinanza, almeno sull’Ucraina, fra Unione europea e Stati Uniti, sul quale Meloni si è spesa in modo anche personale, e al quale ha contribuito il recente disgelo della relazioni fra Parigi e Roma. Non è un caso che ieri il ministro degli esteri francese, Jean Noel Barrot, abbia avuto un lungo e proficuo incontro con Tajani, non è un caso che il cancelliere Merz fosse presente a Roma, non è un caso neppure la cronaca di dettagli minori, ma significativi: ieri erano nella Capitale per incontri con il nostro governo sia il consigliere diplomatico di Merz che quello di Macron.
Il ritorno delle forniture militari americane verso Kiev, seppure attraverso dinamiche e contabilità della Nato, annunciato da Trump ieri, è una delle scommesse che la nostra premier non ha mai rinunciato a reiterare, nemmeno nei momenti di maggiore distanza, se non crisi, fra Washington e gli alleati europei. Le parole che Kellogg ha pronunciato, rimarcando che venivano anche da Trump, sulla necessità di non mollare nella difesa dell’Ucraina e di restare uniti come comunità internazionale occidentale è stato un altro risultato di cui Meloni va fiera.
Con la testa al futuro ora il nostro governo è concentrato nel far passare alcune piccole modifiche al Patto di Stabilità europeo che consentano anche a Paesi come il nostro, che sono sotto procedura di infrazione per il deficit, di poter spendere e fare investimenti, nel settore della Difesa, e di riflesso anche nell’aiuto a Kiev, senza incappare in regole che possono diventare paradossali.
Un tema che è stato al cuore del bilaterale tra Giorgia Meloni e Vladis Dombrovskis. Un colloquio a porte chiuse, a Palazzo Chigi, sul quale viene diffusa soltanto una nota, ma molto esplicita, alla fine. «Abbiamo discusso degli sviluppi economici, dell’importanza di rafforzare la competitività e di aumentare la spesa per la difesa», conferma su X Dombrovskis, che si dice «grato all’Italia — e personalmente alla premier Meloni — per il suo fermo sostegno» a Kiev.
Mentre Palazzo Chigi sottolinea che la conversazione è ruotata anche intorno all’importanza di promuovere la competitività delle imprese e il processo di semplificazione della normativa comunitaria. E soprattutto di cambiare alcune regole per consentire all’Italia di fare quegli investimenti militari che sono ormai indifferibili, sia per gli impegni assunti in ambito Nato, sia per le effettive e credibili capacità di deterrenza e funzionalità delle nostre forze armate.
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12 luglio 2025
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