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Medvedev, l’ex presidente mina vagante che nessuno prendeva sul serio (almeno fino a ora)

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«A forza di giocare con il fuoco, finisce che ti bruci». È una delle frasi fatte più amate da Dmitry Medvedev, che quando fu presidente della Russia era la grande speranza liberale e dopo essere caduto in disgrazia si è rifatto una vita e una posizione diventando una specie di Frate Indovino dell’Apocalisse.

L’ha pronunciata, anzi l’ha scritta nel suo consueto post mattutino su Telegram con il quale da quasi quattro anni dà il buongiorno all’odiato Occidente, almeno una quindicina di volte, evocando una risposta nucleare alle «provocazioni» dei leader europei e americani oppure lo spettro di una Terza guerra mondiale. Sempre con toni da «moriremo tutti», soprattutto i nemici della Russia, che insomma a prenderlo sul serio ci sarebbe da toccare ferro a ogni levare del sole.

A casa sua, non lo fanno. E in fondo non lo facciamo neppure noi dei media occidentali, che all’inizio dell’Operazione militare speciale dedicavamo le nostre giornate a riportare con toni allarmati le sue sparate quotidiane. Prima di capire che si trattava solo del rumore di fondo emesso da un personaggio che fu re del Cremlino, ma ora è solo in cerca d’autore e di riabilitazione politica, perseguita cercando di porsi a guida dell’ala più guerrafondaia per recuperare posizioni agli occhi di Vladimir Putin, prima artefice della sua ascesa, poi della sua caduta.

«Mi viene spesso chiesto perché i miei post sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la morte della Russia. E finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire». «Chi ha detto che tra due anni l’Ucraina esisterà ancora sulle mappe mondiali?». «Le consegne di armi straniere all’Ucraina ci avvicinano all’inverno nucleare». «Non ci sono altre opzioni se non l’eliminazione fisica di Zelensky». «Trump può scordarsi il Premio Nobel per la Pace. Congratulazioni, signor presidente».

Sembra incredibile che a scrivere queste cose sia l’uomo che il 12 novembre 2009, nella sala di San Giorgio al Cremlino, parlò di «rinnovamento e valori democratici» e promise una «società russa di uomini liberi» con pieno accesso all’informazione al posto di «una società arcaica, dove il capo pensa e decide per tutti». Medvedev aveva preso da un anno il posto di Putin, costretto a lasciare dalla limitazione del doppio mandato prevista dalla Costituzione. E il suo arrivo al Cremlino aveva suscitato grandi speranze dentro e fuori la Russia. «La libertà è meglio della non libertà» aveva detto, per poi avviare una timida liberalizzazione interna e soprattutto il celebre «Reset» con la nuova amministrazione di Barack Obama, culminato con la firma del Trattato New Start che tagliava gli arsenali nucleari di Russia e Usa. 

Molti lo videro come il possibile successore «vero» e senza un passato sovietico che avrebbe finalmente avviato la Russia verso la piena integrazione con i partner occidentali. Ma si capì subito che invece era solo un segnaposto, una parentesi. Medvedev non era stimato e tantomeno temuto dai silovikì, gli uomini dei ministeri di forza che controllano i più importanti strumenti del potere. Putin tornò al Cremlino, lui prese il timone dell’esecutivo, rimanendo il numero due della gerarchia interna. Ma l’attuale presidente, che lo conosce dai tempi di San Pietroburgo, quando era professore di legge all’università e consigliere giuridico del sindaco Anatolij Sobchak, fu costretto a cacciarlo in modo brusco dalla guida del governo nel 2020. Senza spiegazioni, se non una ridda di voci, che andavano dall’incapacità manifesta a problemi personali dovuti all’alcool.

A partire dal 16 gennaio 2020, Medvedev divenne un semplice vicepresidente del Consiglio di sicurezza, che non è carica di poco. Non fosse che la vera guida di quell’organismo era l’allora potentissimo Nikolaj Patrushev, non proprio il suo migliore amico. Nell’avvio dell’Operazione militare speciale, Medvedev ha visto una occasione di riscatto, cominciando a recitare la parte del «pazzo» che compiace il Capo con uscite violente contro i nemici suoi e della Russia. Contro «“i mangiatori di rane, di salsicce e di spaghetti” che vanno inutilmente in pellegrinaggio a Kiev», contro Biden, contro tutti coloro che dicono qualcosa contro il Cremlino. Innocuo e ininfluente, in patria e fuori. Fino a quando qualcuno, forse persino più pazzo di lui, lo ha preso per la prima volta sul serio. Chissà adesso come sarà contento Putin. 

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:08)

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:08)

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