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Medio Oriente e Russia, cosa può succedere ora al prezzo del gas (con lo stoccaggio ai minimi)

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Cosa sta succedendo al prezzo del gas in questi giorni di crisi mediorientale? «La questione – spiega l’analista Daniela Corsini, Senior Economist, Rates, FX & Commodities Research di Intesa Sanpaolo  – riguarda gli stoccaggi in Europa. Il livello è ai minimi di giugno 2022, con grandi ritardi soprattutto nel nord Europa, tra Olanda e Germania, anche per effetto della chiusura dell’ultimo tubo verso l’Europa del gas russo attraverso l’Ucraina. Al 22 giugno gli stoccaggi europei erano pieni 56,24%, se guardiamo la media a 5 anni il livello è di 65,85%, l’anno scorso eravamo al 74,79%. Anche se le consegne di gas naturale liquefatto sono state abbondanti, le scorte europee sono dunque ancora inferiori alla media stagionale. Le tensioni in Medio Oriente e lo stop delle spedizioni di gas russo attraverso l’Ucraina potrebbero mantenere elevati i prezzi anche in estate». Con pesanti ricadute per le bollette di imprese e famiglie per la prossima stagione invernale quando il metano sarà fondamentale anche per gli usi civili, cioè per riscaldare le case tramite le centrali termiche degli edifici. Ci corre in soccorso l’estate perché la domanda per l’industria ad agosto crolla permettendo di risparmiare.

Comanda la geopolitica

Daniela Corsini è un’analista di materie prime. La questione s’intreccia con la geopolitica. Con gli osservatori attenti a vedere l’impatto dello scontro frontale Israele-Iran, in pochi stanno ragionando sui depositi ancora scarichi di metano. Le abbiamo chiesto che cosa aspettarsi dall’andamento del prezzo di petrolio e gas visto questo complicato scenario mediorientale. Per il greggio «allo scoppio di questo conflitto il prezzo era salito non tantissimo, al picco di 78 dollari, inferiore comunque ai livelli di un anno fa». «Questo perché tutti gli attori sanno che la posta in gioco in Iran è enorme e nessuno può permettersi errori – spiega Corsini -. Questo conflitto ha la potenzialità di deflagrare su scala regionale. Perché l’Iran dispone ancora di un arsenale militare non indifferente, ma certamente Israele ha trovato il momento migliore per attaccare, quando tutti gli alleati strategici dell’Iran sono in difficoltà e Cina e Russia sono distratti da altri temi».

Il nodo di Hormuz

Al momento sembra scongiurata la chiusura dello Stretto di Hormuz che avrebbe effetti drammatici per l’economia. «Da qui passano circa 20-21 milioni di barili al giorno, un quarto della domanda mondiale di petrolio e un quinto della domanda globale di gas naturale liquefatto. Optare per questa scelta sarebbe suicida per il regime degli Ayatollah. Indirettamente si configurerebbe come attacco alla Cina, che ne è il principale compratore, ma provocherebbe anche la pesante riduzione delle entrate per Teheran, di cui potrebbe beneficiare il nemico americano, grande produttore petrolifero», spiega Corsini.

Risparmiate le infrastrutture petrolifere

«Anche il modo in cui si è configurato l’attacco americano, dice Corsini, ha le sue ragioni. E’ stato chiaro sin da subito per i mercati che questo conflitto fosse mirato a destabilizzare la capacità nucleare iraniana bloccando la capacità di arricchire uranio. Al tempo stesso sono state colpite solo le infrastrutture energetiche dell’Iran che servivano al mercato domestico, non le raffinerie più importanti e i terminali di esportazione. Ciò ha impedito il rialzo dei prezzi del petrolio che stiamo osservando».

26 giugno 2025

26 giugno 2025

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