
Il grande rapace in bronzo non vola più. È posizionato alla Fondazione Dalmine, su un carrellino ad altezza bambino. E i bambini di oggi gli si avvicinano, incuriositi e senza timore. La scultura è diventata un innocuo reperto storico novecentesco («per noi è un pezzo d’archivio, come tanti», commenta Silvia Giugno, Heritage coordinator di Fondazione Dalmine), svuotato della simbologia e del passato fascista. Dunque, si può affermare senza timore: l’Aquila di Dalmine è bella (e non fa paura).
Se ne era accorto Maurizio Cattelan. L’arti-star si è ispirato al volatile bergamasco, per la sua opera appositamente confezionata per la città: «Bones», l’aquila morente in marmo, splendidamente allestita all’ex Oratorio di San Lupo nell’ambito di «Seasons». La mostra dell’anno, inaugurata lo scorso giugno, chiude domenica 26 ottobre dopo avere alimentato infinite discussioni. Perché Cattelan parla poco ma fa tanto parlare di sé. Vale anche per l’evento di Fondazione Dalmine, dove lui è presente senza dire una parola pubblica. Semmai ne sminuzza alcune, con i tanti appassionati che si mettono in coda per il firmacopie di due recenti volumi a lui dedicati: «Beware of Yourself» (Pirelli HangarBicocca, Marsilio Arte) e «Don’t Make a Masterpiece, You Survive One» (Gamec – Lenz).
Cattelan sigla e timbra i libri. Li ha resi pezzi da conservare, in futuro potrebbero pure essere battuti all’asta.
Anche il Corriere Bergamo si mette in fila, per chiedere conto all’artista del successo della sua mostra, ormai agli sgoccioli. Maurizio Cattelan, poco più che a monosillabi, cordialmente risponde: «Con oggi salutiamo formalmente “Seasons”. Anche le cose belle finiscono, ma restano nella memoria. Questo è l’importante. Tutto è cominciato proprio qui a Dalmine. Lorenzo Giusti (direttore di Gamec, ndr) mi ha fatto scoprire il pennuto, nei depositi della Fondazione». Laconico e brevissimo. Ma sinceramente compiaciuto dell’accoglienza di Bergamo, durata oltre quattro mesi.
Più loquaci i relatori, che hanno dato corpo all’evento organizzato da Fondazione Dalmine e Gamec. Roberta Tenconi, curatrice del milanese Pirelli HangarBicocca, si avventura nell’ardua sintesi dello stile Cattelan. Cita «L.O.V.E» meglio noto come «Il Dito» (medio) collocato in piazza degli Affari a Milano: «Un monito che costantemente ricorda la crisi finanziaria del 2008». Ma anche «Ave Maria» con «tre braccia in saluto romano. Il tiolo dell’opera è ovviamente potente. Cattelan diffida dalle immagini univoche, richiede al pubblico di prestare attenzione ai messaggi ambivalenti».
L’ambivalenza può essere predefinita, oppure maturare nel tempo. Come capita a certi monumenti del passato, immersi nella società contemporanea. Ne parla la storica dell’arte Lisa Parola, autrice del libro «Giù i monumenti? Una questione aperta» (ed. Einaudi). «Quando ho visto “November” di Cattelan, a Palazzo della Ragione, mi sono detta: “Ecco, è il mio libro che si fa materia”». Nella fattispecie, l’opera rappresenta un homeless che urina sdraiato su una panchina. Il soggetto ancora oggi fa storcere il naso a qualcuno. Figurarsi alla fine degli anni Trenta, in Italia. È l’epoca dell’Aquila, classe 1939. La scultura venne commissionata dalla Dalmine — all’epoca acciaieria di Stato — allo stimato artista Giannino Castiglioni, per commemorare il ventennale del discorso che Benito Mussolini tenne in città. Dopo la guerra, l’Aquila è stata spostata nel giardino della colonia estiva dell’azienda a Castione della Presolana. Poi, per lei si sono aperte le porte dei depositi della Dalmine Spa. Da lì non è quasi più uscita, fino all’ispirazione di Cattelan. «Troverà una collocazione, forse non permanente, nel nostro parco», spiega Manuel Tonolini, direttore della Fondazione Dalmine.
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23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 08:33)
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