
Il signor Mario ha 88 anni e tre tumori. Nel 2018 va in pronto soccorso all’ospedale di San Bonifacio, in provincia di Verona: non si sente bene. I sintomi sono quelli di una digestione difficile dopo una cena pesante, ma gli esami mettono in evidenza ben altro. C’è un tumore del sangue, un linfoma di Hodgkin, una malattia rara (sono soltanto 1.200 circa i nuovi casi ogni anno in Italia) che però fortunatamente oggi si cura bene, con buone prospettive di farcela. L’allora 81enne non si perde d’animo e inizia le cure: chemio e immunoterapia, intervallate dai controlli. Ed è proprio durante una visita che i medici scoprono un neo sospetto, lo asportano: è un melanoma, il tipo più pericoloso di tumore cutaneo. Le brutte notizie, purtroppo non finiscono qui e Mario deve affrontare prima una recidiva del linfoma e, praticamente in contemporanea, la scoperta di un tumore del colon. «Quando nel 2024 ha avuto la recidiva del linfoma, andando a cercare i linfonodi positivi agli esami per fare una biopsia ci siamo accorti che c’era anche un carcinoma del colon, lo abbiamo operato, ma è diventato metastatico – racconta l’oncologo che lo ha in cura, Michele Milella, direttore del dipartimento di Ingegneria per la medicina di innovazione dell’università di Verona -. Una sfida non da poco, che a guardarla un anno dopo, però, è un successo: c’era una terapia nuovissima e dopo aver soppesato a lungo i possibili pro e contro l’abbiamo iniziata».
Era l’ottobre 2024, a che punto della storia siamo lo spiega il diretto interessato nell’ultimo episodio del podcast «Prima, durante, dopo. Prevenire, affrontare, superare il cancro» (una serie del Corriere della Sera in collaborazione con Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica):
«Faccio un po’ tutto quello che facevo prima, io vivo autonomo, mi faccio da mangiare, vado al bar a guardarmi una partita di calcio. Faccio anche un po’ di assistenza: vado a trovare una persona non vedente che conosco da tanti anni e ora è in una casa di riposo. Poi ho anche altri interessi, quello che mi sento di fare, faccio».
La normalità ritrovata del signor Mario, 40 anni da salumiere nel veronese, e la sua quotidianità riconquistata sono la prova tangibile di quanto le terapie oncologiche siano migliorate, in efficacia e anche in una riduzione della tossicità, tanto da consentire a quasi 90enne di essere trattato per tre neoplasie diverse e, nonostante tutto, continuare a fare la sua vita.
«Da ottobre 2024 il paziente è in trattamento con un nuovo farmaco agnostico, senza effetti collaterali di rilievo e con la scomparsa di tutte le localizzazioni di malattia visibili alla PET… – precisa Milella -. Vista l’età avanzata di Mario ci siamo interrogati a lungo, anche in considerazione della sua necessità di assumere diversi medicinali per altre malattie di cui soffre. Serviva tanta prudenza anche per il rischio di effetti collaterali. Invece la terapia si è rivelata non solo estremamente efficace, ma anche un successo per la qualità di vita».
I farmaci agnostici sono una delle innovazioni più recenti nella cura dei tumori. Devono il loro nome a un termine greco che significa «senza sapere», che è anche un’indicazione di come lavorano questi medicinali: non colpiscono un solo tipo di tumore, come fa la gran parte dei medicinali attuali, ma vanno a bersagliare un gruppo di geni mutati, potenzialmente responsabili dello sviluppo della malattia. Si tratta di geni «ubiquitari», che sono cioè comuni a diversi tumori, indipendentemente dall’organo in cui originano.
Quanto queste cure sono già una realtà oggi in Italia?
«Moltissimi nuovi farmaci possono essere utilizzati soltanto se nelle cellule tumorali (o, talvolta, nel sangue o in altri campioni biologici prelevati dal malato) si rileva la presenza di specifici biomarcatori – risponde l’oncologo -. Oltre il 30% dei pazienti con un tumore può ricevere una cura basata sualterazioni del Dna ed è una percentuale destinata a crescere, visto che i farmaci di precisione sono la gran parte dei trattamenti innovativi in arrivo nel prossimo futuro».
Insomma, verificare se e quali mutazioni genetiche sono presenti nel tumore di ogni paziente oggi è un passaggio fondamentale e sempre più ricerche lo dimostrano. L’attenzione degli specialisti, infatti, si sta spostando dall’organo interessato dalla neoplasia (colon, polmone, seno o altro) alle alterazioni del Dna, sempre più determinanti per scegliere la terapia maggiormente indicata e con probabilità di successo più elevate.
La vicenda di Mario lo dimostra: «Il suo tumore del colon è risultato avere la cosiddetta “instabilità dei microsatelliti”, un’alterazione molecolare che comporta, in genere, un’elevata efficacia dell’immunoterapia – dice l’oncologo -. Nel suo caso, però, l’immunoterapia si è rivelata poco efficace e la malattia è peggiorata in pochi mesi… A questo punto i colleghi dell’ospedale di San Bonifacio, che seguivano il paziente, sono stati molto bravi nell’andare a fare una nuova biopsia che ha consentito di identificare una rara alterazione (fusione del gene NTRK) per la quale esiste un farmaco agnostico, già disponibile nel nostro Paese».
Se per le terapie servono bravi oncologi e la ricerca scientifica, sul fronte psicologico Mario ha una sua ricetta, molto pragmatica: «Sarà la saggezza dell’età, non so. Però bisognerebbe affrontarla in una maniera positiva, tenersi occupati nei momenti in cui si può farlo, quando si sta bene. Deprimersi e isolarsi non serve, bisogna prendere la vita e pure la malattia al meglio possibile».
20 novembre 2025
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