Dopo «quasi un anno di tira e molla e di scontro totale fra le banche detentrici dei 4,9 miliardi di debito, l’accordo è stato trovato sui gradini del tribunale, proprio mentre la “macchina” stava per finire la benzina». A parlare è David Slump, amministratore delegato di Marelli, che così descrive la situazione dell’azienda italo-giapponese nella lettera di accompagnamento all’istanza di accesso al Chapter 11 negli Stati Uniti. In settimana, infatti, Marelli ha chiesto alla Corte del Delaware di congelare la situazione debitoria mentre lavora a un radicale piano di ristrutturazione.
Il progetto, approvato da oltre l’80% dei creditori, contempla un prestito-ponte di 1,1 miliardi per sostenere nei mesi della procedura le attività del gruppo che conta oltre 10 miliardi di ricavi, 170 siti produttivi e 46 mila dipendenti nel mondo, seimila dei quali in Italia. Al termine del Chapter 11, a meno di offerte di acquisizione alternative e migliori, la proprietà del gruppo si trasferirà automaticamente dal fondo americano Kkr ai creditori, capitanati dal fondo opportunistico Strategic Value Partners. Ma come ha fatto Marelli a finire «in riserva»?
I piani di Marchionne
Magneti Marelli è nata nel 1919 a Milano dalla collaborazione di Fiat con l’ingegnere e inventore Ercole Marelli e nei primi decenni ha prodotto componenti anche per i settori radiofonico e televisivo. Nel 1967 Fiat ha assunto il controllo dell’azienda, trasformandola in uno dei maggiori fornitori di componenti auto al mondo. La svolta arriva nel 2017-2018 quando l’allora ceo di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, decide di scorporare (di nuovo) Magneti Marelli dal gruppo per «depurare il titolo e creare valore per gli azionisti». Il manager valuta perciò accordi industriali e la distribuzione agli azionisti di Fca.
La vendita da Fiat a Kkr
Dopo la morte di Marchionne, però, l’azienda prende un’altra strada: quella di un’asta per la vendita a cui partecipano diversi fondi e l’italiana Brembo. Alla fine, nell’ottobre del 2018, è il private equity statunitense Kkr a spuntarla, con un’offerta da 6,2 miliardi di dollari attraverso la controllata giapponese Calsonic Kansei. Kkr riunisce così i fornitori di riferimento di Fca, Magneti Marelli, e di Nissan, Calsonic Kansei, in un unico gruppo di nome Marelli e con sede a Saitama (Giappone) che, sciolti i legami con le case-madri, ha l’ambizione di conquistare più ordini da altri clienti.
La pandemia
Il tempismo si rivela però infelice perché di lì a pochi mesi l’industria dell’auto entra in crisi. Nel marzo 2020, anzitutto, la pandemia blocca le attività industriali per mesi. Alla fine dell’anno la produzione di auto in Europa e Stati Uniti segna un calo superiore al 20%. Marelli è costretta a procedere a un’iniezione di liquidità di emergenza da 1,2 miliardi di dollari, fornita in parte da Kkr e in parte dalle banche Mizuho e Deutsche Bank.
La crisi dei chip
Nel 2021, mentre la situazione sanitaria sembra volgere alla normalità, il settore auto è colpito da un nuovo choc. Il boom della domanda di chip per pc e smartphone indispensabili per il lavoro da remoto satura la capacità produttiva delle aziende di semiconduttori; quando dopo i lockdown i clienti tornano nei concessionari, le case scoprono che le loro commesse di chip sono le ultime di una lunga coda. Gli stabilimenti si fermano di nuovo e le vetture scarseggiano: alla fine la carenza di semiconduttori costa all’industria dell’auto circa cinque milioni di veicoli prodotti in meno e una perdita di ricavi stimata in 450 miliardi. Il conto non è però distribuito equamente. Le case riescono a sfruttare il divario fra offerta scarsa e domanda alta per alzare i prezzi e segnare utili record. I loro fornitori si trovano invece a contendersi pochi ordini, in una posizione negoziale debole che deprime i margini.
Nel 2022, schiacciata da un debito di 9,5 miliardi, Marelli ricorre ai tribunali giapponesi per trovare un accordo con i creditori che passa per il versamento di altri 600 milioni da parte di Kkr e per una sforbiciata del debito. La soluzione finanziaria si rivela però un palliativo, incapace di curare la malattia industriale. L’azienda soffre prima l’aumento dei costi, poi la frenata della transizione all’elettrico, infine le difficoltà dei suoi principali clienti, Fca (diventata Stellantis) e Nissan. A giugno del 2024, così, Marelli inizia ad avere nuovi problemi di liquidità e Kkr a cercare una via d’uscita da Marelli. Mentre porta avanti per mesi un negoziato faticoso con i creditori (e il governo nipponico) l’azienda ottiene 750 milioni di sostegno dai clienti sotto forma di anticipi sugli ordini (ancora oggi Stellantis vanta crediti per 450 milioni, Nissan per 310).
Il credito dei fondi opportunisti
Arriviamo così ai giorni nostri e alla richiesta di accesso al Chapter 11. La compagine dei creditori è cambiata. Mizuho e Deutsche Bank sono ancora fra i principali detentori del debito di Marelli: la prima è esposta per 1,6 miliardi, la seconda fornirà oltre 800 milioni degli 1,1 miliardi di linea di emergenza. Altri istituti hanno però ceduto il debito a fondi specializzati nelle crisi: la sudcoreana Mbk, gli americani Fortress e Strategic Value Partners. Quest’ultimo, Svp, è il principale creditore di Marelli, nonché «portavoce» degli altri fondi e di DB. Potrebbe così emergere come socio di riferimento di Marelli all’esito del Chapter 11, a meno che arrivino nel prossimo mese e mezzo offerte migliori per i creditori.
La pista indiana
Il gruppo di componentistica indiano Motherson (20 miliardi di ricavi) ha già tentato un approccio e potrebbe rifarsi avanti con una proposta migliorativa per cui starebbe studiando un aumento di capitale da due miliardi. Ma secondo fonti non va escluso uno spezzatino di Marelli con alcune divisioni che potrebbero interessare a Bosch e altre tornare a Nissan. La situazione è insomma incerta, ma Marelli ha assicurato che non avrà impatto sulle attività produttiva né sui dipendenti: giovedì il tribunale ha dato il via libera a un prestito di 519 milioni che consentirà di far fronte agli impegni. I sindacati italiani sono però in allarme e hanno chiesto al governo di intervenire per salvare il maggior produttore di componenti del Paese.
LEGGI ANCHE
16 giugno 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA