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Lvmh, dietro il lusso c’è la divisione Arti e mestieri: tanti sono italiani, anche chi la guida

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Che cosa c’è dietro i prodotti delle case di moda? Tutto parte dalle materie prime, che influenzano e qualche volta condizionano il processo creativo. Materie prime messe a disposizione da aziende dalla grande tradizione artigianale che vengono aiutate, sostenute finanziariamente e in alcuni casi acquisite da Métiers d’Art, la divisione del gruppo Lvmh che festeggia in questi giorni i 10 anni di attività.
Incontriamo il ceo italiano, Matteo de Rosa, a La Main, l’edificio nel II arrondissement di Parigi che accoglie gli uffici e gli spazi aperti al pubblico.
Come mai la sede di Lvmh Métiers d’Art è staccata dagli altri indirizzi del gruppo? «Perché qui siamo nel quartiere Arts et Métiers, un tempo cuore della moda e della produzione di pelli e tessuti. Grazie a questo palazzo le nostre aziende, originarie di tutto il mondo, hanno un luogo a Parigi dove esporre i loro materiali ed entrare in contatto con i designer, gli studi stilistici, i compratori dei vari marchi. Questo showroom è un modo per esibire realtà che spesso restano dietro le quinte».

Il sistema

I sei pilastri di Lvmh Métiers d’Art sono concerie (pelli ed esotici), allevamenti, lavorazione dei metalli, tessuti, manifattura e ricerca & sviluppo. Il 48% del fatturato deriva dalle maison del gruppo Lvmh. Il resto, oltre la metà, è rappresentato dalle forniture ad altri marchi, anche concorrenti. Dato interessante, visto l’accento posto da tutti sulla qualità delle materie prime, spesso evocata come uno dei principali criteri distintivi di un brand. «È vero ma non c’è contraddizione, semmai complementarità — dice de Rosa —. Molti brand hanno una materia prima unica, che li rende diversi dagli altri. Ma non accade sempre, e per tanti prodotti una base di partenza può essere messa in comune. L’obiettivo del nostro sistema, la state of the art production, è produrre allo stesso livello di eccellenza ma con un impatto ambientale, umano e animale molto, molto inferiore. E questo un brand da solo non può farlo. Grazie alla nostra forza e alle nostre dimensioni possiamo offrire materie prima di altissima qualità, a impatto ambientale sempre più ridotto, alle maison del gruppo Lvmh e anche agli altri».
Matteo de Rosa è un milanese che ha vissuto i primi anni della sua vita in Italia, «poi sono andato a finire il liceo in Nuova Zelanda, e quell’impatto con una nuova realtà linguistica diversa mi ha dato una nuova dimensione: un lato anglosassone molto diretto, che si è aggiunto a quello italiano un po’ più barocco. Tornato a Milano, dopo gli studi alla Bocconi sono ripartito per fare l’imprenditore tra l’Italia e il Giappone con una mia azienda che produceva borse e accessori. Poi mi sono messo a lavorare per altri, ho vissuto in Asia, poi in Belgio occupandomi di Dries Van Noten, e questa capacità di adattarmi alle diverse culture credo mi sia di grande utilità a Lvmh Métiers d’Art. Abbiamo 42 siti produttivi in 13 nazioni con 13 culture diverse. E i numeri si moltiplicano se consideriamo che in Italia, da Firenze a Prato o da Roma a Milano, le culture cambiano come se fossero nazioni diverse. Ci vuole una certa elasticità per adattarsi a tradizioni diverse».
Da quando de Rosa ha preso in mano la divisione, nel 2021, il team è passato da due persone a 28 e il fatturato si è quintuplicato «forse perché sono riuscito a mettere a frutto la mia formazione e le mie esperienze tra tanti Paesi. Ho cercato di conoscere i fondatori delle aziende, qualche volta a conduzione famigliare, tutte personalità molto forti nel loro settore e nella loro regione, convincendole a lavorare nella stessa direzione grazie all’ombrello di Lvmh Métiers d’Art. Persone che magari prima erano competitor adesso collaborano».

Il ruolo dell’Italia

Il peso dei fornitori italiani è importante. «Abbiamo Monde nella metalleria a Vicenza con tre siti produttivi, il gruppo Nuti di Santa Croce sull’Arno con un gruppo di aziende dalla chimica al trattamento delle pelli, l’altra conceria Masoni sempre a Santa Croce, Heng Long Italy in Toscana, che si occupa di esotico in complemento all’attività di Singapore, poi la filiale italiana della spagnola Verdeveleno, e Robans, a Ponsacco sempre in Toscana, che si occupa di manifattura di capi in pelle. Italia e Spagna sono i Paesi più importanti dal punto di vista della supply chain, in Francia paradossalmente abbiamo solo una conceria. I distretti italiani, che spesso diamo per scontati, sono importantissimi perché permettono di conservare un tessuto produttivo che altrove, per esempio in Francia con i suoi grandi gruppi, rischia di impoverirsi».
Crede che la polarizzazione tra lusso e alto artigianato da un lato, e fast fashion da pochi euro dall’altro, sia destinata a durare? «Spero e credo di no, in mezzo si è creato un vuoto che può essere colmato, anche grazie all’attività delle nostre aziende. Oltre ai prodotti di lusso, alla cui creazione continueremo a contribuire, ci possono essere prodotti che offrono una qualità ragionevole a prezzi più abbordabili, fabbricati però in modo tracciabile e sostenibile».

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