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Lush Spring Prize, l’ambiente salvato dalle comunità. La rigenerazione dal basso che aiuta il pianeta

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Ci sono i colombiani di Agro Pueblos, che si occupano di organizzare la distribuzione di sementi naturali alle comunità indigene, con l’obiettivo di sottrarle dalla dipendenza delle multinazionali che hanno selezionato ormai piante che non danno semi per costringere i contadini a rivolgersi a loro ogni anno; gli attivisti di Natiora Defenders, che in Madagascar combattono contro lo sfruttamento eccessivo ed illegale delle risorse ittiche che porta allo svuotamento dei mari e all’impoverimento delle popolazioni costiere; l’associazione Permacultura in Ucraina, che anche in tempi di guerra sta portando avanti pratiche agricole incentrate sul rispetto dell’ambiente e che dall’inizio del conflitto ospita anche sfollati, promuove programmi di recupero di persone traumatizzate e studia la rigenerazione dei suoli contaminati dall’impiego massiccio di munizioni; gli studenti di HortaFcul, che un progetto di permacultura lo hanno invece realizzato all’interno dell’Università di Lisbona, per produrre secondo soluzioni nature-based ma anche per coinvolgere la popolazione sui temi della sostenibilità ambientale.   

Sono solo alcuni dei progetti assegnatari delle 250 mila sterline del Lush Spring Prize, l’iniziativa promossa promossa con Ethical Consumer a sostegno di progetti di rigenerazione ambientale portati avanti da organizzazioni e comunità locali in tutte le aree del mondo. «Mentre i politici aspettano, noi rigeneriamo» è lo slogan dell’iniziativa che dal 2017 ha permesso di erogare 1 milione e 300 mila sterline a sostegno di 85 progetti in 45 Paesi. Quest’anno le richieste di partecipazione sono state circa 600, ma solo 58 hanno avuto accesso alla short list finale all’interno della quale sono stati poi scelti i 19 vincitori. O, meglio, assegnatari. Perché lo Spring Prize non è un concorso, è più che altro un modo per compartecipare rinascita degli habitat e delle economie di sussistenza.  

«È da sempre la nostra filosofia – spiega Mark Constantine, fondatore e presidente di Lush -. Non ci basta non inquinare e non consumare, vogliamo essere protagonisti anche della rigenerazione e della rinascita. Non possiamo pensare di cambiare il mondo, ma sostenendo iniziative locali molto concrete riusciamo ad ottenere risultati. La spinta deve sempre partire dal basso, dalle popolazioni che si prendono cura dei loro territori e degli ambienti in cui vivono». Lush è del resto da 30 anni in prima linea in campagne per la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della biodiversità. Tra i primi a rinunciare ai test sugli animali – una scelta orgogliosamente rivendicata sulle loro tote bag – quando ancora nella cosmetica la sperimentazione diretta su scimmie e conigli era la regola, sono stati anche gli inventori delle bombe da bagno e fra i pionieri dei prodotti solidi e nudi, che hanno permesso di rinunciare a gran parte del packaging, in particolare a quello di plastica. Che, comunque, nella parte ancora utilizzata viene ritirato negli stessi negozi e completamente riciclato in apposite sezioni degli stabilimenti. Dove i prodotti vengono ancora confezionati a mano e con ingredienti freschi e naturali. Che impongono però produzioni limitate. 

«Quando ci confrontiamo con altri operatori del settore – spiega Rowena Bird, co-fondatrice di Lush e responsabile della creazione di nuovi prodotti e delle campagne etiche -ci dicono che sbagliamo a non utilizzare macchinari, ad avere una produzione contenuta, a non differenziare i mercati perché potremmo performare molto di più. Ma se lo facessimo non saremmo più noi stessi, con la nostra storia e le nostre politiche». Spesso le aziende, soprattutto quelle che hanno una rilevanza internazionale, cercano di tenersi alla larga dalle questioni politiche e preferiscono non schierarsi. La banda di visionari di Poole, invece, sembra quasi andarsele a cercare le battaglie etiche e sociali. Come quella per l’inclusività: da sempre al fianco dei movimenti Lgbtq+, Lush ha di recente deciso di cambiare nome a tre suoi storici prodotti come risposta indiretta alle politiche dell’amministrazione Usa che sta facendo la guerra a tutti i programmi di inclusione delle istituzioni americane, università e agenzie governative in primis: Thermal Waves, Sakura e American Cream sono stati ribattezzati Diversity, Equity e Inclusion. Ma è solo l’ultimo esempio di tante iniziative condotte nel corso di questi tre decenni di attività, che hanno visto la rete di Lush impegnata in campagne per la salvaguardia dei mari, contro le corride, contro la caccia alla volpe che tanto piaceva anche a Re Carlo, a favore della body positivity. E adesso che Trump sta dettando una linea diversa a cui in qualche modo anche l’Europa sembra in parte voler aderire, vedi ridimensionamento del Green Deal Ue? «Continueremo a fare come sempre – assicura Bird -. Del resto anche quando abbiamo iniziato la difesa dell’ambiente non era di moda e noi eravamo decisamente controcorrente». 

Ma non è solo questione di slogan o di prese di posizione. Il cambiamento parte dalle azioni concrete, secondo Constantine e il suo staff, e scegliere di rifornirsi da comunità locali che producono nel rispetto della natura e degli ecosistemi significa contribuire realmente al cambiamento. I progetti che partecipano al Lush Spring Prize per esempio fanno rete tra loro e spesso finiscono con il diventare essi stessi fornitori di materie prime prodotte secondo criteri etici ed ecosostenibili. 

8 giugno 2025 ( modifica il 9 giugno 2025 | 00:08)

8 giugno 2025 ( modifica il 9 giugno 2025 | 00:08)

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