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L’onda di Mamdani, il risveglio di Obama (e il fattore che spaventa davvero Trump): i 3 messaggi del voto a New York

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La grande tenda, il caro vita, il cambiamento delle regole del gioco: alla luce della vittoria di Mamdani, socialista democratico nuovo sindaco di New York, e degli altri successi del partito dei progressisti nelle votazioni del 4 novembre – dalla conquista dei governatori di Virginia e New Jersey al referendum vinto in California – è su questi tre fronti che si deciderà, tra un anno, la sfida delle elezioni di mid term che potrebbe togliere a Trump il controllo del Congresso.
    
La netta vittoria di Mamdani, con la mobilitazione di oltre centomila volontari, rappresenta una straordinaria iniezione di energia per un partito della sinistra fin qui sfiduciato e disorientato davanti al ritorno di Donald Trump con la sua agenda autoritaria. La mobilitazione dei giovani (e anche quella delle donne, simboleggiata dall’ascesa delle due nuove governatrici) è un patrimonio di valore inestimabile per i democratici, ma non si può dimenticare che l’America è, ormai, un Paese profondamente diviso: il Nord Est, la costa del Pacifico e qualche grande metropoli dell’interno sono segnati sulla mappa politica d’America col colore blu della sinistra, il resto è rosso repubblicano.
   
Se mal gestita, la vittoria di Mamdani, col suo populismo di sinistra che allinea cause encomiabili a proposte suggestive, elettoralmente attraenti ma in parte irrealizzabili o eccessivamente onerose, rischia di accentuare questa polarizzazione. Il nuovo sindaco ha davanti a sé sfide formidabili: tenere testa allo scatenato Trump e dimostrare di saper governare con efficacia ed equilibrio, iniettando una buona dose di realismo nei suoi piani. C’è, poi, per lui una terza sfida, meno visibile ma forse più difficile da gestire: arginare il radicalismo della sinistra dei «duri e puri».
    
Alcuni esponenti democratici sono stati criticati per non aver dato il loro sostegno ufficiale al candidato dell’ala radicale del loro partito. Ma gli stessi consiglieri di Mamdani sono rimasti sorpresi dalla valanga di reazioni negative che li ha investiti dopo la conversazione telefonica tra il loro candidato e Barack Obama: attivisti che denunciavano uno Zohran già «omologato», risucchiato dall’establishment.

In realtà i democratici possono risorgere e tornare a vincere solo se sapranno ricucire gli strappi della grande tenda sotto la quale un tempo trovavano riparo, senza farsi la guerra, moderati e liberal. E anche bianchi, neri ed ispanici. 

Qui, dopo una tornata elettorale che ha sepolto il «bidenismo», un moderatismo senza grinta, mentre Bill Clinton si è messo fuori gioco da solo appoggiando Cuomo, c’è un solo, possibile, collante intergenerazionale, efficace da un capo all’altro dell’America: proprio quello di Obama.
   
L’ex presidente, a lungo silenzioso davanti agli abusi di potere di Trump e perplesso su Mamdani per via della sua agenda radicale, da qualche tempo è uscito dal suo torpore. 

E qui entra in campo il secondo fattore: come Mamdani e come il governatore della California Gavin Newsom che ha condotto e vinto la battaglia per una ridefinizione della mappa dei distretti elettorali favorevole ai democratici che è in sé assai discutibile, ma si giustifica davanti delle ancor più gravi manovre repubblicane per distorcere il voto in Texas e in altri Stati «rossi», anche Obama si rende conto che «le regole del gioco sono cambiate». Bisogna combattere a mani nude. E magari sporcarsele.
    
Del resto, che l’estremismo illiberale di Trump non potesse essere combattuto con le buone maniere, Obama lo sa dal 2016. Da quando, davanti alle volgarità, alle bugie e alle insinuazioni della campagna di The Donald, Michelle replicava «quando gli altri scendono in basso, noi voliamo alto»: si sa come andò a finire

Ora Obama cambia rotta: confessa ai suoi amici che fin qui ha pensato che Trump, per quanto dannoso, sarebbe passato, che l’America avrebbe tenuto. Ora non ne è più certo. E allora accantona le perplessità sulla correttezza istituzionale della scelta della California e appoggia la battaglia contro l’alterazione delle mappe elettorali. E, pur non condividendo molti punti della sua agenda, giudica Mamdani un patrimonio importante per il rilancio del fronte democratico. Starà a lui, ora, evitare che l’entusiasmo si trasformi in energia positiva e non in un ottimismo avventato. E aiutare Mamdani a rendere la sua agenda compatibile con le idee guida del partito senza mortificare la spinta socialdemocratica che è alla base del suo progetto.
    
Missione non facile, visto che dovrà vedersela non solo con l’ostracismo dei «duri e puri», ma anche coi prevedibili tentativi dei MAGA di far deragliare un simile piano con provocazioni, e magari prevaricazioni: ci sono deputati che vorrebbero impedire a Mamdani di giurare come sindaco invocando una norma costituzionale che esclude dalle cariche pubbliche i fautori di insurrezioni.
    
Ma il voto di ieri dice anche un’altra cosa: da New York alla Virginia gli elettori hanno dichiarato ai sondaggisti di aver votato pensando soprattutto alle loro preoccupazioni economiche, al caro vita che aveva reso impopolare Biden e che ora sta avendo lo stesso effetto con Trump . I repubblicani hanno meno di un anno per cambiare la direzione di un vento dell’economia che ora li sta frenando. Impresa non facile, viste le nuvole che si stanno addensando all’orizzonte.

5 novembre 2025

5 novembre 2025

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