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Lo storico Alberto Melloni e il giudizio su Papa Francesco: «Ha fatto pentire tanti che erano diventati atei per niente»

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«Se i Papi fossero amici di tutti quelli che dicono di conoscerli, non farebbero i Papi perché non avrebbero il tempo», dice Alberto Melloni, storico delle religioni, ordinario di storia del cristianesimo all’università di Modena e Reggio Emilia, presidente de Il Portico che ha pubblicato diverse opere del Pontefice.

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Con Francesco ha avuto una certa frequentazione?
«All’inizio del Pontificato, a Firenze, ci fu lo scambio tra capolavori russi e la Madonna di Giotto. Il Patriarca aveva affrontato temi delicati che avevo riferito al Papa».

E da editore?
«Gli portammo il lavoro sulla tradizione dei Concili e sull’anniversario niceo. Ci andrà il suo successore. Poi stiamo scrivendo una storia dell’Ecumenismo che tocca anche questi 12 anni e mezzo di Pontificato».

In che senso?
«La conclusione ci dice anche di quello che è stato: un papa gesuita che voleva morire sul campo battaglia. Bergoglio è morto nel periodo pasquale ma senza distogliere attenzione. È stato un Papato di una freschezza senza pari che ha fatto pentire i tanti diventati atei per niente».

E il suo governo della Chiesa?
«È stato uno stile estremamente imperioso e verticale, questo ha fatto sì che non sia nato partito bergogliano, l’unico bergogliano era Francesco. Con lui è finito un secolo e ricominciano le guerre e i bombardamenti sui civili. Il nuovo Papa dovrà ridisegnare la Chiesa in un mondo in fiamme».

E la visita a Bologna?
«Bisogna essergli grati per due motivi. La citazione di Lercaro che quando venne destituito parlò della via della Chiesa non nella neutralità, ma nella profezia. Bergoglio usò proprio quelle parole. E poi riprese l’idea della pace come diritto da non negoziare. Uno spirito che Zuppi interpreta benissimo e la città deve fare suo».

Umanamente com’era?
«Cosa vuole, l’ho conosciuto poco e malissimo, dava confidenza a intermittenza, cambiava continuamente interlocutori».

Da editore vi siete frequentati?
«Siamo andati in udienza quando abbiamo rilevato l’Editrice missionaria italiana, la casa editrice che per primo lo tradusse nel 1992. Fu un’udienza buffa. Eravamo nella sala dove si è dimesso Benedetto, Francesco era in ritardo e i missionari si misero a cantare la preghiera. Non si fermarono nemmeno quando Francesco entrò. Lui non ebbe nulla in contrario, li fece finire ascoltando con piacere il loro canto. Del resto, era la gente con cui stava bene, quella che non aveva secondi fini».

Il viaggio in Emilia per il terremoto?
«Ecco, questa era una sua caratteristica. La credibilità. Chiunque altro si fosse messo un casco in testa avrebbe fatto ridere. Lui no, perché era credibile».


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22 aprile 2025

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