«Il dazio choc del 39% deciso dagli Stati Uniti sull’import svizzero? È una misura ingiustificabile. La Svizzera è un partner strategico dell’economia americana, non una minaccia. Siamo il sesto investitore diretto negli Stati Uniti nel manifatturiero e il primo in ricerca e sviluppo. Contribuiamo alla competitività industriale statunitense. Eppure, il disavanzo commerciale è stato usato come giustificazione per una tariffa che colpisce in modo indiscriminato tutti i settori», sostiene Jan Atteslander, responsabile della politica estera di economiesuisse, l’organizzazione mantello dell’economia svizzera, che riunisce 100 associazioni di categoria, 20 camere di commercio cantonali.
Quali i settori più colpiti?
«Tutti gli esportatori: macchinari, orologeria, dispositivi medici, tessile, alimentare. Anche simboli come cioccolato e formaggi. Ma non si tratta solo di beni voluttuari: alcune forniture, come i chip per pacemaker, sono essenziali e difficili da sostituire».
L’Ue ha ottenuto un dazio del 15%, il Regno Unito del 10%. La Svizzera diventerà meno competitiva?
«Sì. In alcuni settori si potrà sostituire il prodotto svizzero con alternative più convenienti. Ma molte nostre aziende sono leader di nicchia. In quei casi, il cambio di fornitore non è immediato».
Quindi i dazi avranno un impatto sui consumatori americani?
«Lo hanno già. Il rincaro dei prezzi è un freno al potere d’acquisto. L’economia americana è trainata dai consumi e i dazi riducono il benessere netto. Ford e GM hanno registrato costi miliardarie per l’effetto delle tariffe».
Quali aziende svizzere rischiano di più nel breve?
«Le Pmi dipendenti dal mercato americano. Alcuni clienti americani ci hanno già comunicato l’annullamento o il rinvio degli ordini al 2026. Molti clienti Usa nel settore manifatturiero non riescono a sostenere un aumento del 10%, figuriamoci del 39%. E sono gli importatori a pagare il dazio. Un paradosso, considerando che la Svizzera dal 2024 ha abolito i propri dazi su tutte le importazioni, incluse quelle dagli Stati Uniti».
C’è il rischio che i dazi riducano gli investimenti esteri in Svizzera?
«In parte. Molte multinazionali scelgono la Svizzera per servire Europa, Medio Oriente e Africa del Nord: questo resterà. Ma potrebbe ripensarci chi produce qui per esportare negli Usa, dove arriva il 17% del nostro export totale. La Svizzera, però, resta attrattiva per servizi ed economia digitale, non colpiti dai dazi, e per un ecosistema innovativo».
Quali saranno gli effetti nel lungo termine?
«La Svizzera continuerà a diversificare i propri mercati, con nuovi accordi come quello con il Mercosur. Inoltre, abbiamo di recente concluso un buon accordo con l’Unione europea per proseguire l’accesso bilaterale al mercato. I dazi non favoriscono relazioni economiche stabili».
C’è ancora tempo per un accordo prima del 7 agosto?
«Sono in corso trattative su una bozza condivisa. Un’intesa sarebbe vantaggiosa per tutti».
Su quale tariffa?
«Difficile dirlo. Potrebbe essere il 10% o il 15%, come per l’Ue. La Svizzera non ha sussidi all’export, né tariffe, né sovvenzioni industriali. Abbiamo regole aperte e trasparenti».
Come interpreta la decisione di Trump?
«Secondo fonti Usa, è rimasto colpito dalla dimensione del surplus commerciale di beni di un Paese così piccolo».
È vero che due terzi dell’export sono lingotti d’oro?
«Abbiamo grande surplus manifatturiero in farma, macchinari, orologi. Ma siamo leader nella raffinazione dell’oro: tre delle cinque aziende mondiali sono qui. Quest’anno gli Usa hanno importato molto più oro del solito per l’incertezza. Ma l’oro è esentato dai dazi del 39%».
3 agosto 2025
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