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«Lions of the Skeleton Coast» vince lo Stambecco d’oro 2025. La storia delle leoncine orfane conquista tutti

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Quello del  del Namib è probabilmente l’unico deserto al mondo in cui vivono stabilmente dei leoni. Una particolarità che fa di quest’area ancora selvaggia della Namibia, uno dei Paesi che a tutte le sue latitudini custodisce le più preziose gemme della biodiversità del pianeta, un luogo davvero speciale. Lo sanno bene i cineasti sudafricani Will e Lianne Steenkamp che con Lions of the Skeleton Coast hanno vinto lo Stambecco d’Oro 2025 al Gran Paradiso Film Festival, promosso dalla Fondation Grand Paradis. Il loro film racconta le vicende di tre cucciole di leone che, in quest’area decisamente poco ospitale e poco ricca di cibo, si ritrovano ad affrontare la vita da sole dopo la perdita della madre. La voce narrante è quella di Philip Sander, ricercatore che ha dedicato la sua vita allo studio di questi grandi felini che si sono adattati a vivere in un ambiente che, all’apparenza, non sarebbe il loro. 

Il film ha vinto non solo il premio principale, ma anche quello per la migliore sceneggiatura e il premio «junior», che vuole incentivare le nuove generazioni del mondo della cinematografia, in questo caso declinata sulla divulgazione e sul wildlife. «Sono un riconoscimento non solo del nostro lavoro – hanno commentato i due registi, collegati dal Parco Nazionale di South Luangwa, in Zambia, con la cerimonia di premiazione, che si è svolta nel weekend ad Aymaville e che ha avuto come ospite d’onore l’attore Stefano Accorsi  – ma anche del potere che la la narrazione di connettere le persone con la bellezza e la fragilità del nostro mondo naturale. Festival come questo svolgono un ruolo fondamentale nel favorire una comprensione profonda della natura da parte del pubblico di tutte le età. Celebrando storie che esplorano la natura selvaggia e aiutano a colmare il divario tra scienza ed emozione, si crea consapevolezza»

Del contenuto del film avevamo già parlato nei giorni scorsi. Le immagini raccontano una realtà molto particolare, fatta di leoni che per sopravvivere hanno imparato a catturare prede diverse da quelle che siamo soliti immaginare, come gazzelle e gnu. Vale a dire foche e uccelli marini.  E che all’occorrenza si nutrono di carcasse di animali morti, comprese le balene spiaggiate. Tutto documentato dagli studi di Sander, autore di diverse pubblicazioni su questi felini «marittimi». Quello che si vede nel film è solo una parte della complessità che regola la vita e la morte in un’area tanto estrema. 

La capacità di adattamento degli animali è nota, ma quella di questi leoni è unica al mondo. Solo in questo lembo di terra, un habitat ostile fatto di dune di sabbia, pianure ghiaiose e montagne brulle, o si possono vedere leoni allo stato brado sulla spiaggia. Proprio la visione di una leonessa sull’arenile aveva spinto Sander a fare di questo luogo il centro di gravità del suo lavoro di studioso. 

Le immagini del film sono affascinanti, coinvolgenti, romantiche. Ma non sempre questi aggettivi funzionano quando vengono declinati alla realtà. Che in Namibia è fatta anche di contrasti, di scontri, di conflitti di interessi tra gli allevatori e chi si occupa di conservazione. Un po’ come avviene da noi con il lupo o l’orso. I leoni, però, sono anche una risorsa, perché possono convogliare in questo territorio un gran numero di turisti appassionati di natura. Ed è questo il tasto su cui battono associazioni come la Desert Lion Conservation, che vogliono valorizzare i leoni come asset positivo di un’economia che, come in gran parte delle nazioni africane, ancora stenta a crescere. Con ovviamente un occhio di particolare riguardo alla tutela e alla conservazione di questo patrimonio fatto di ruggiti e di criniere e di esemplari considerati anche esteticamente particolarmente belli e unici. 

È una scommessa che si può vincere, sostengono, ed è la risposta allo sfruttamento crudele degli animali che passa dai safari tradizionali, che sembrano passati di moda ma che in realtà sono solo stati sostituiti da forme di turismo venatorio di lusso che porta in Africa cacciatori interessati al trofeo più che a misurarsi con la preda grossa nel suo ambiente naturale (qui abbiamo parlato del fenomeno della cosiddetta «canned hunting», una pratica per cui, in poche parole, esemplari esotici vengono messi a disposizione di cacciatori in aree recintate da cui non possono scappare). Ma la sfida è complessa e la tutela della biodiversità, come sempre, deve essere bilanciata con le esigenze di un business turistico che una volta avviato diventa spesso bulimico e, di fatto, esso stesso predatore. Quindi situazione da evitare. 

«Lions of the Skeleton Coast» vince lo Stambecco d'oro 2025. La storia delle leoncine orfane conquista tutti

Ma questa è una questione di politica e di strategia economica, mentre il cinema è soprattutto poesia, anche quando racconta la realtà. Ed è proprio questa, la poesia, che è emersa nel film di  Will e Lianne Steenkamp e che ha convinto la giuria. Quella tecnica ha aggiudicato anche altri tre premi per lungometraggi: quello alla miglior immagine a  call from the wild”di Asgeir Helgestad; quello al miglior sguardo scientifico a Mashatu: lands of leopards di Julien Naar; e quello alla miglior sceneggiatura, come detto, proprio a Lions of the Skeleton Coast.
Il Premio CortoNatura, l’altra categoria in gara, è stato attribuito dalla giuria tecnica a L’opportuniste, la victime et le coupable di Dominique Mertens, mentre la giuria del pubblico lo ha assegnato a The bird in my backyard di Ryan Wilkes.

Il Festival prosegue ora online, sul sito della Fondation Grand Paradis e sul suo canale Youtube, e nelle valli del Gran Paradiso dove le proiezioni e gli eventi collaterali si susseguono fino al 10 agosto. «Questa edizione ci ha offerto l’occasione per riflettere sulle grandi sfide che l’umanità è oggi chiamata ad affrontare, in un mondo in cui cresce la consapevolezza di non essere unici – sottolinea Luisa Vuillermoz, direttrice artistica della rassegna e direttrice della Fondation -. Il fragile equilibrio del nostro pianeta si fonda sulla convivenza tra diverse forme di intelligenza: quella umana, animale, vegetale e quella artificiale, frutto del nostro ingegno e ora più che mai bisognosa di essere orientata con responsabilità».

4 agosto 2025

4 agosto 2025

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