
Papà medico e mamma insegnante, il figlio che vuole fare l’attore: significa due genitori disperati?
«Inizialmente sì. Avevo superato il test per entrare a Medicina, ma poi non mi sono iscritto: per mio padre è stata una delusione fortissima».
Si sono dovuti rassegnare.
«All’inizio erano disperati ma poi sono stati molto determinati a starmi vicino. Di fronte alla mia decisione così ferma hanno fatto l’unica scelta veramente sensata: sono stati sempre presenti, non si sono mai persi uno spettacolo». Lino Guanciale è uno degli attori di punta della serialità italiana. Ogni lunedì è su Rai1 con la terza stagione del Commissario Ricciardi, il detective che risolve casi di omicidio grazie al suo intuito investigativo e alla capacità di vedere i fantasmi delle persone morte in modo violento e ascoltarne l’ultimo pensiero.
Fare l’attore è stato il primo sogno?
«Da piccolo in realtà volevo fare il benzinaio: mi piaceva molto l’odore della benzina e poi vedevo quei portafogli gonfi di soldi che mi facevano immaginare grandi ricchezze. A 19 anni invece ho calato la maschera e scelto di fare l’attore».
L’attore «è» una maschera.
«Per la prima volta in palcoscenico mi sono sentito libero di essere quello che sono».
La fiction è tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni, perché Ricciardi piace così tanto?
«Penso per due aspetti. Da un lato proprio la genialità dell’invenzione di Maurizio De Giovanni che ha creato — oltre al protagonista — un mondo avvincente di personaggi fortissimi. Dall’altro c’è il fascino di un’epoca molto calda nella nostra memoria storica. Siamo negli anni ‘30, in pieno fascismo, nel momento in cui l’asse con Berlino si perfeziona: c’è l’attrazione per qualcosa che abbiamo rimosso, per la stagione più oscura della nostra storia».
Ricciardi è un protagonista atipico: il suo carisma è nell’essere anti-protagonista rispetto a quello che siamo abituati a vedere. Un introverso che si cela al mondo. Si rivede in lui?
«Di base sono una persona timida, ma le mie analogie con Ricciardi, purtroppo, finiscono qui. Mi piacerebbe somigliare il più possibile a un personaggio come lui».
Tra «La Porta Rossa» e «Commissario Ricciardi» ha recitato in fiction che hanno a che fare con i fantasmi: qual è il suo fantasma?
«Il giudizio degli altri. E fare questo lavoro paradossalmente mi ha aiutato molto ad affrontarlo: è stato ed è tuttora terapeutico per me».
Si guarisce dal giudizio degli altri?
«Non si guarisce mai né da quello né dall’ansia. Al massimo uno può imparare a gestirle nella maniera più sana e saggia possibile».
Ha recitato per Woody Allen in «To Rome with Love»: cosa si porta dietro di quell’esperienza?
«La grande simpatia umana di Woody Allen. Diciamocelo francamente, non è uno dei suoi film più belli. Mi sembrava piuttosto interessato a farsi una bella vacanza a Roma: chiedeva sempre consigli su dove si mangiava la miglior cacio e pepe in città. Le ha provate tutte».
20 novembre 2025
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