
A un primo impatto, un concerto dei Linkin Park senza Chester Bennington potrebbe sembrare una contraddizione in termini: l’iconico vocalist è sempre stato l’elemento più riconoscibile della band (di cui era frontman insieme a Mike Shinoda, che in qualità di rapper, multi-strumentista e autore di buona parte delle canzoni ne è sempre stato la mente). Bennington si è tolto la vita nell’estate del 2017 all’età di 41 anni, nel bel mezzo di un tour mondiale che aveva toccato anche l’Italia, con un concerto all’autodromo di Monza appena un mese prima della tragedia. In seguito a questo lutto il gruppo si era preso una lunga pausa di riflessione, terminata nel 2023 con l’ingresso di una nuova cantante, Emily Armstrong, ma non era ancora tornato a suonare nel nostro paese. Almeno fino a ieri sera, quando nell’ambito degli I-Days una carica di 78.000 persone ha invaso l’ippodromo La Maura di Milano per celebrare i Linkin Park di ieri e di oggi, come se Chris non se ne fosse mai andato davvero. Un sold-out particolarmente significativo in una stagione in cui molti concerti faticano a ingranare e in cui la concorrenza è più agguerrita che mai (la stessa sera, dall’altra parte della città, si esibivano in un altro live affollatissimo anche i Nine Inch Nails, che hanno un pubblico parzialmente sovrapponibile al loro).
Il popolo dei Linkin Park abbraccia un vasto intervallo di età: ci sono i coetanei dei membri originari della band, che ormai vanno per i 50, i millennial che li ascoltavano nei primi anni ‘00 ai tempi del liceo, ma anche tanti esponenti della Gen-Z e della Gen-Alpha, figli dei loro fan della prima ora. L’entusiasmo a tratti appare inversamente proporzionale all’ordine di arrivo: le ultime file, a centinaia di metri di distanza dal palco, sono particolarmente scatenate e rumorose, e la felicità di partecipare a questo rito collettivo è palpabile. Il gruppo, capitanato da un inossidabile Shinoda che pare non essere invecchiato un giorno dai tempi in cui imperversava su MTV, preferisce esprimere la propria energia con azioni concrete: durante le quasi due ore di concerto pronuncerà poche parole, lasciando che sia la musica a esprimere tutte le emozioni del caso. Si comincia con un tributo al passato: «Somewhere I Belong», «Crawling», per poi saltare al presente con «Cut the Bridge» e di nuovo agli annali con «Lying for You». Emily Armstrong è visibilmente emozionatissima al cospetto di una folla così oceanica, e pur non perdendo un colpo risulta un po’ ingessata e formale rispetto a quello che Chris Bennington riusciva a trasmettere al pubblico, con il suo pathos sofferto e vissuto. Nonostante questo, però, l’idea di una cesura netta tra ciò che è stato e ciò che è oggi risulta vincente: nessun altro cantante maschio avrebbe retto il confronto con l’inarrivabile predecessore. E la platea sembra amarla moltissimo, incoraggiandola con cori da stadio e cartelli dedicati.
Tra visual dai colori foschi e giochi di luce laser, il concerto giunge al culmine con alcuni dei brani più amati del loro repertorio, «Numb» e «In the End» in testa. In quest’ultima, Shinoda omaggia il suo compianto co-leader: «Cantate voi la parte di Chris» urla alla folla, che risponde come un sol uomo. È già ora del bis, anche in questo caso un mix di brani vecchi («Bleed It Out») e nuovi («Heavy Is the Crown»). «Grazie mille Milano, non vediamo l’ora di tornare qui l’anno prossimo» urlano in chiusura. Che sia una promessa o un auspicio è ancora da capire.
25 giugno 2025 ( modifica il 25 giugno 2025 | 02:08)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
25 giugno 2025 ( modifica il 25 giugno 2025 | 02:08)
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