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L’ingerenza della Cina a Myanmar, il Papa (e i falsi miti su Pechino)

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Papa Leone XIV sembra essere l’unico leader mondiale a ricordarsi della tragica sorte di Myanmar (Birmania). Ieri il pontefice ha lanciato un nuovo appello perché il resto del mondo non abbandoni il popolo birmano.

Mi correggo, però: c’è un leader che di Myanmar si occupa tanto, anche troppo. Si chiama Xi Jinping. La Cina tratta quel Paese come una «colonia esterna», in omaggio alle sue tradizioni: l’Impero Celeste era circondato da Stati-vassalli che gli dovevano rendere omaggio e pagare tributi. Nel caso birmano i tributi sono l’accesso a risorse naturali preziose, dall’energia ai minerali. Più oltre vi propongo una lettura rapida ma istruttiva, sui disastri che l’ingerenza cinese continua a combinare, peggiorando la situazione in Myanmar.

Ma prima di proseguire, serve fare un passaggio fondamentale: dobbiamo sfatare il mito secondo cui la Cina sarebbe una potenza che non fa guerre, non aggredisce, non bombarda gli altri. I cinesi sono bravissimi a diffondere e consolidare questa leggenda: dai loro manuali scolastici fino all’opinione pubblica mondiale e all’Assemblea Onu, è accettato quasi come «un dato di fatto» che la Cina sia diversa da noi occidentali perché non pratica il colonialismo e non fa guerre in giro per il mondo come gli americani. 

Sorvolo sulla Cina imperiale e mi limito a una breve lista di eventi dopo la fondazione di quella attuale, la Repubblica Popolare che nasce nel 1949 con la vittoria di Mao Zedong. La prima cosa rilevante che fa sul piano internazionale, nel 1950, è l’invasione militare del Tibet, antichissima civiltà autonoma. La seconda: spalleggia l’invasione militare nordcoreana della Corea del Sud e manda un milione di soldati a combattere in una feroce guerra di aggressione fino al 1953. Nel 1962 attacca l’India. Nel 1969 combatte sul confine della Russia (fiume Ussuri). Nel 1979 aggredisce e invade il Vietnam. Dopo di allora, è vero, non ci sono stati dei veri conflitti internazionali. In compenso le forze armate cinesi hanno cominciato ad accanirsi contro la loro popolazione civile: massacro di Piazza Tienanmen nel 1989; interventi militari contro le rivolte tibetane nel 2008 e uigure nel 2009. Infine le forniture militari cinesi compaiono sempre più spesso sul fronte russo-ucraino, le stragi di civili ucraini portano anche la firma di tecnologie «made in China». Sorvolo sulle forniture di armi cinesi nel mondo intero, che uccidono proprio come le armi occidentali, per esempio nei conflitti africani. O sulle prepotenze e provocazioni delle forze armate cinesi che sono all’ordine del giorno nelle acque limitrofe a Taiwan, Filippine, Giappone, Corea, Vietnam.

In quanto a colonialismo: il «nostro» si concluse negli anni Sessanta del secolo scorso; mentre ancora nel 2025 la Repubblica Popolare è un vasto impero coloniale che controlla tre territori giganteschi (un terzo della propria superficie), regioni che appartengono a popoli di antichissima indipendenza: Tibet, Xinjiang, Mongolia Interna.

Vengo a Myanmar e vi propongo qui una rapida sintesi compiuta da Rebecca Tan del Washington Post, su quel che la Cina sta combinando nel Paese che papa Leone XIV ha messo ieri al centro della sua attenzione e delle sue preghiere:
  
«Nel presentarsi come un’alternativa di leadership globale agli Stati Uniti, la Cina sottolinea ripetutamente di praticare una “politica di non interferenza”. È stato questo il messaggio che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha promosso durante la sua visita nel vicino Myanmar nell’agosto 2024: nonostante il “caos e il conflitto” della guerra civile del Paese, Pechino si oppone a “qualsiasi interferenza negli affari interni del Myanmar da parte di forze esterne”, ha dichiarato. Da quella visita, tuttavia, la nazione che più sfacciatamente ha tentato di interferire negli affari del Myanmar è stata proprio la Cina, secondo attivisti locali, leader ribelli e diplomatici in Myanmar, nonché analisti del conflitto e funzionari del Sud-est asiatico. Il Myanmar è impantanato nel conflitto dal 2021, quando i militari hanno preso il potere da un governo democraticamente eletto, scatenando una guerra contro i rivoluzionari pro-democrazia e potenti ribelli etnici che oggi controllano vaste aree del Paese. Le Nazioni Unite hanno descritto la guerra come una “catastrofica crisi dei diritti umani”. I tentativi di Pechino di plasmare il conflitto secondo i propri interessi non hanno fatto altro che renderlo più intrattabile, affermano gli analisti. Nell’ottobre 2023, un’alleanza di gruppi ribelli ha lanciato un’offensiva coordinata contro l’esercito birmano, conquistando con successo decine di città e paesi, per lo più vicino al confine cinese. In un primo momento, gli analisti avevano ipotizzato che la Cina avesse dato tacitamente il proprio assenso all’attacco ribelle, denominato “Operazione 1027”, per punire la giunta incapace di eliminare i centri di frodi che avevano colpito cittadini cinesi. Ma quando l’offensiva si è protratta per settimane, poi per mesi, i ribelli hanno conquistato molto più territorio del previsto. Nell’agosto 2024 — lo stesso mese della visita del ministro Wang — hanno preso Lashio, una capitale regionale vicina al confine cinese e un nodo commerciale di primaria importanza. “Pechino non l’aveva mai immaginato. Non avrebbero mai pensato che l’esercito perdesse Lashio”, ha dichiarato Nan Lwin, direttrice del programma di studi sulla Cina presso l’Institute for Strategy and Policy-Myanmar. “È stato un punto di svolta.” Nei mesi successivi, la Cina ha rapidamente fatto marcia indietro, riaccendendo i rapporti con la giunta e fornendole sostegno materiale e politico che, secondo gli analisti, ha modificato le dinamiche del conflitto. Dopo mesi in cui aveva assunto principalmente posizioni difensive, l’esercito ha iniziato a lanciare controffensive. Il prossimo obiettivo della giunta è legittimare il proprio potere attraverso elezioni, che si svolgeranno a tappe a partire da dicembre. Tuttavia, esperti di diritti umani — presso le Nazioni Unite, l’Unione Europea e altre istituzioni — affermano che le elezioni organizzate dai militari non saranno né libere né eque. Nelle aree del Paese non sotto il controllo della giunta, il voto non sarà possibile».

6 novembre 2025

6 novembre 2025

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