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L’imbarazzo di Sinner con la principessa Kate prima della premiazione a Wimbledon: «Devo chiamarla sua altezza?»

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Il primo uomo sulla luna verde è allampanato, veste di chiaro come Neil Armstrong, il suo casco è un cappellino ben calcato in testa, si muove circospetto su un terreno che non conosce: nessun italiano prima di lui, infatti, l’aveva mai calpestato. Vinta in rimonta su Carlos Alcaraz la finale di Wimbledon, per essere certo che non sia un sogno Jannik Sinner resta accosciato qualche minuto sul centrale. Chissà cosa gli passa per la testa in quel momento, quale fotogramma di un viaggio cominciato a Sesto Pusteria e arrivato fino a Londra, davanti al re di Spagna e alla famiglia reale britannica al completo, sotto gli occhi del mondo, nel posto delle fragole.

Due pacche affettuose al manto spelacchiato da due settimane di pallate, e da quattro set della solita battaglia con Alcaraz, bastano a riportarlo alla realtà. «Solo ora capisco quanto è speciale vincere Wimbledon».Ha conficcato le unghie, da campione, nella storia dei Championships e in quella del nostro sport, un’altra barriera abbattuta dal ragazzo con i capelli rossi e la nitroglicerina nel braccio, un’altra pagina scritta. La finale di Wimbledon non conserva alcuna traccia del dramma agonistico di un mese fa a Parigi, quando questo stesso avversario, il mago Alcaraz, la nemesi ieri trasformata in complice, gli aveva cancellato tre match point. Aggrappato a un servizio d’eccellenza, 75% di punti con la prima (come lo spagnolo ma con una più alta percentuale di seconde, che hanno scavato la differenza), ma soprattutto alla dolomitica solidità che nella maratona del Roland Garros aveva mostrato qualche crepa, Jannik è il primo azzurro ad alzare le braccia in Church Road in 148 anni di storia. Pietrangeli semifinalista (’60), Berrettini finalista (2021), Sinner re.

Alle 19.24, ora di Londra, di una domenica che non dimenticheremo facilmente, Jannik va a servire per il match dopo aver ceduto il primo set facendosi recuperare un break (4-6), aver amministrato con maestria forze e colpi nel secondo (6-4) e terzo (6-4) e dopo aver raccolto tra i fili d’erba un tappo di champagne piovuto dalle tribune («Solo a Wimbledon succedono queste cose: ecco perché noi giocatori amiamo giocare qui!»). Sul 5-4, i cinque punti che fanno deragliare il destino. Un dritto in corridoio di Alcaraz (15-0); combinazione servizio e rovescio (30-0); una gran difesa della rete dai disperati tentativi dello spagnolo di passare (40-0); un rovescio in rete di Jannik (40-15, 40 gratuiti in totale); servizio vincente. Finisce 125 a 113 punti, con un margine molto più ampio del sottilissimo snodo sulla rive droite, dove a misurare la distanza tra questi due fenomeni era stato un solo, misero punto.

Si è giocato poco sul servizio, sono passati 18 minuti prima che si arrivasse ai vantaggi e lì si è materializzata la prima palla break (4 su 9 annesse da Sinner). L’erba non genera le palle alte in top che tanto gli avevano dato fastidio a Parigi, il barone rosso ha quindi potuto tirare sempre dritto per dritto, seguendo la scuola-Djokovic e variando come mai lo avevamo visto fare con il servizio, mentre Alcaraz provava a far fruttare il suo ping pong sul prato, fatto di controbalzi, effetti, velocità: gli assi che l’azzurro gli ha sfilato dalla manica, sparpagliando le carte sul campo. L’empatia rimane uno dei mille talenti di Carlitos, ma che Jannik stia lavorando sulla liberazione delle emozioni è dimostrato dall’urlo d’inizio secondo set, quando si è capito che il vento stava girando.

All’imbrunire, ecco il momento che Jannik Sinner sognava da bambino, quando guardava il torneo dei tornei alla tv insieme al nonno. Porta le mani sul viso, si lascia scaldare dall’ovazione del campo centrale, viziato dai Big Three e adesso innamorato dei Big Two, Jannik e Carlitos, le molecole della nuova formula del tennis. Abbraccia il rivale, ben sapendo che si rivedranno spesso nelle finali dei Major: ora, Spagna-Italia 5-4 (5-8 i confronti diretti). Poi sale sulle tribune per la coccola a cui più tiene: i due coach, Vagnozzi e Cahill che resterà anche nel 2026, papà Hansperter, mamma Siglinde, il fratello Mark («C’è solo perché non ha una gara di F1 da vedere» scherza). Entra la cerimoniera di Wimbledon, lo istruisce su come comportarsi. L’inchino con un gesto della testa alla principessa Kate, che lo premia, davanti a un royal box ad altissimo tasso di nobiltà. «Her highness…?» chiede. Devo chiamarla sua altezza? Sì, Jannik, la strada è quella giusta. «Grazie per il giocatore che sei Carlos, mi costringi a migliorarmi ogni giorno — dice con il trofeo in mano, che maneggia con cura —. Avevi già vinto due volte, ora tocca a me. Emotivamente, farcela qui significa molto: a Parigi era stata una sconfitta dura. Ma ho capito cosa avevo sbagliato, ho lavorato, non mi sono fermato: ecco perché sono arrivato fino a qui».

Foto, autografi, il giro d’onore. Quell’istante di raccoglimento, finito con la carezza all’erba, ora si spiega. Era un ringraziamento per aver lasciato passare il nostro astronauta, atterrato il 13 luglio 2025 sulla luna verde.

14 luglio 2025 ( modifica il 14 luglio 2025 | 07:48)

14 luglio 2025 ( modifica il 14 luglio 2025 | 07:48)

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